Nessun piano di rientro messo in campo dalle Regioni per contenere la spesa sanitaria, compresi i provvedimenti dei commissari ad acta, può tagliare le indennità di reperibilità domiciliare – anche in gruppo o in rete, superfestivi e servizio Adi e Pip – previste dagli accordi collettivi nazionali e integrativi in favore dei pediatri di libera scelta e dei medici di famiglia.
Lo sottolinea la Cassazione che ha respinto il ricorso della Regione Abruzzo che insisteva nel sostenere che le delibere con misure di risparmio adottate dai direttori generali delle Asl e quelle del Commissario ad acta “hanno natura autoritativa ed inderogabile”, in quanto perseguono “l’obiettivo del contenimento della spesa sanitaria e dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza”.
Si possono tagliare invece gli emolumenti previsti a ‘pioggia’ ma legati a rischi specifici. In particolare, con il verdetto 29137 depositato oggi dalla Sezione lavoro della Suprema Corte, gli ‘ermellini’ hanno respinto il ricorso della Asl di Avezzano Sulmona l’Aquila contro la decisione della Corte di Appello aquilana che il primo ottobre 2020 ha dato ragione alle proteste di Marco I., medico convenzionato di continuità assistenziale, contro la riduzione dei suoi guadagni prodotta dalla ‘tagliola’ caduta sulle indennità.
Al ‘camice bianco’, i giudici di merito avevano riconosciuto il diritto alle indennità ‘abolite’ per circa 19mila euro da rivalutare. Senza successo la Asl ha contestato il pagamento.
“Il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta – replica Cassazione – e dei medici di medicina generale con il Ssn è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali ed integrativi, ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali” come stabilito dalle normative del 1978 e del 1992. “Ne consegue che tale disciplina – prosegue la Suprema Corte – non puo’ essere derogata da quella speciale prevista per il rientro da disavanzi economici e che le sopravvenute esigenze di riduzione della spesa devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione”. Pertanto deve “considerarsi illegittimo – conclude il verdetto – l’atto unilaterale di riduzione del compenso adottato dalla P.A., posto che il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata”.
Respinta invece la richiesta del medico – che complessivamente aveva azionato nei confronti della Asl un decreto ingiuntivo per circa 52mila euro – di ottenere anche il pagamento degli arretrati per le ‘soppresse’ indennità di rischio previste in maniera generalizzata per tutti i medici operanti in Abruzzo per via delle aree montuose e del territorio ‘difficile’.
In proposito, la Cassazione – come già fatto dalla Corte di Appello – ha dichiarato nulla la previsione dell’accordo integrativo regionale per la Regione Abruzzo che aveva previsto “in modo generalizzato un compenso aggiuntivo orario (indennità di rischio) per tutti i medici di continuità assistenziale operanti sul territorio regionale”. Secondo gli ‘ermellini’ non è condivisibile la tesi per cui “tutto il territorio abruzzese sarebbe caratterizzato da condizioni di rischio” e da “non meglio precisate carenze di sicurezza dei mezzi e delle sedi” come se tutti gli ambulatori si trovassero in zone impervie o di montagna.