Covid, lo screening per bambini e ragazzi in Abruzzo

“In questi giorni ha avuto risalto la notizia che la Cina ha iniziato a ricorrere all’uso dei tamponi rettali per testare le persone ad alto rischio di contrarre il covid-19.

 

Secondo alcuni studi infatti sembra che il virus sopravviva più a lungo nelle feci di quanto faccia nella gola e nel naso e di conseguenza attraverso questo genere di screening si riduce la probabilità di falsi negativi”. Lo spiega la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Maria Concetta Falivene che aggiunge: “La Regione Abruzzo da oltre tre mesi ha attuato il protocollo sperimentale per la ricerca del virus attraverso l’analisi delle feci ed  è inoltre  l’unica Regione in Italia che sta effettuando uno screening massivo per il virus SARS-COV2 dedicato ai bambini”.

 

A questo proposito, il Presidente del Consiglio regionale, Lorenzo Sospiri sottolinea: “L’impegno profuso dalla Regione e dai Medici della UOC di Pescara nel monitorare la diffusione del virus. Impegno che è sfociato in un protocollo sperimentale attuato per la prima volta a livello mondiale. Il progetto di ricerca “Scuola covid-19” della Asl di Pescara, presentato il 3 settembre scorso, consiste in uno screening massivo alla ricerca del virus attraverso sia il tampone nasale che faringeo di tipo molecolare, ma anche attraverso analisi di campioni di feci in età pediatrica che permette di eliminare il rischio di falsi negativi. Scopo dello studio è valutare la circolazione del virus in età scolare, attraverso una mappatura dettagliata della sua diffusione al fine di pianificare quelle azioni mirate all’interruzione della circolazione del virus stesso.

 

Con questo progetto – sottolinea Sospiri – la Regione Abruzzo ha posto al centro dei propri interessi la tutela dei nostri bambini ed adolescenti per consentire loro una frequenza scolastica più sicura e contribuire al contenimento dell’indice  di trasmissibilità nella nostra Regione”. Inoltre, Falivene invita a riflettere “sulle motivazioni per le quali la diffusione del virus non si arresta e ci chiama ad un esame di coscienza e ad un esercizio di onestà intellettuale. La responsabilità risiede – a mio avviso – non nelle Istituzioni, nelle Scuole, nei trasporti o nelle ASl, ma in tutti noi. Nelle modalità comportamentali attuate dai familiari il cui nucleo è stato interessato dall’infezione da SARS-CoV-2. E’ vero che  il DPCM, in merito ai contatti stretti asintomatici, prevede l’osservazione di un periodo di quarantena solo se individuati ed inseriti nei registri delle Asl. Nella pratica sappiamo bene quanto sia difficile e complesso per le ASL gestire l’enorme mole di dati e le comunicazioni in caso di positività. Allora riflettiamo: nella realtà quotidiana cosa accade se un genitore, fratello, nonno, figlio sono stati riscontrati come positivi al covid-19? I familiari asintomatici spesso continuano a  svolgere l’ordinaria vita quotidiana: frequenza scolastica dei figli, si continua ad andare al lavoro, si esce per fare la spesa, e questo per me rappresenta un atto di irresponsabilità sociale.

 

E’ vero che siamo tutti esausti, che i nostri ragazzi stanno vivendo molte restrizioni e perdono esperienze in anni che non torneranno più, che si stanno amplificando molte patologie psicologiche, che stiamo affrontando una crisi economica che incide sul benessere emotivo delle famiglie, sono tutte motivazioni ben comprensibili. Ma che alternativa abbiamo per contenere il virus se  non attuare veramente il buon senso e la massima prudenza?”, si chiede la Garante che conclude: “Purtroppo siamo ancora in piena pandemia e solo isolando, attraverso severi controlli, l’intero  nucleo familiare colpito da covid-19 si può sperare di contenere il contagio. Auspico che il Governo si muova presto in tal senso, per chiarire in modo definitivo quali sono i comportamenti da assumere quando un componente della famiglia è risultato positivo e, nel caso, prevedere obblighi di isolamento per i componenti del nucleo familiare e severi controlli e sanzioni per le trasgressioni”.

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