Realtà che adesso rischia di prendere una piega ben diversa, per l’improvvisa accelerazione impressa dal Consiglio di Stato alle procedure legate alla direttiva europea sulla concorrenza che porta il nome di Bolkenstein: devono andare a gara tra solo due anni, sottraendole di fatto a chi per lungo tempo ci ha gettato sopra sangue e sudore. Per questo, Cna e Confartigianato, con i loro rappresentanti nazionali del settore della balneazione, hanno chiamato a raccolta a Pescara i loro associati, per un confronto aperto alla politica e alle istituzioni, ma soprattutto per cercare i rimedi necessari.
Perché, come ha ricordato nelle sue conclusioni Sabina Cardinali, presidente nazionale di Cna Balneari, “la scelta del Consiglio di Stato blocca i nostri investimenti, e questo è un guaio non solo per le nostre imprese ma per tutto il sistema turistico italiano: di incertezza totale per noi e per il nostro indotto”. In una sala Petruzzi gremita, i balneari abruzzesi hanno potuto delineare le loro strategie, riassumibili in un principio: riconoscere alle 32mila imprese italiane che hanno le spiagge in concessione il valore d’insieme che rappresentano. Per Mauro Vanni, presidente nazionale delle imprese demaniali della Confartigianato, “la decisione del Consiglio di Stato ha accelerato i tempi per una riforma del demanio marittimo.
Con Cna e le altre associazioni di categoria esiste un’unità di intenti che è l’unica condizione per vincere questa battaglia, ma lo stesso deve valere con l’interlocutore politico. Perché stiamo parlando di una fetta importante di quel 13% che vale il Pil turistico per il sistema Italia, e quindi va riconosciuto come patrimonio storico, culturale e di tradizione da difendere. Vogliamo stare in Europa preservando le nostre peculiarità”. Prima però va riconosciuto il dovuto a chi al mare e alle spiagge ha dedicato una vita, come ha ricordato il responsabile nazionale di Cna Balneari, Cristiano Tomei, a condizione di sapere quanti sono davvero: “Da tempo chiediamo al Governo una mappatura del sistema demaniale italiano, quanti e quali investimenti sono stati realizzati dagli attuali gestori. Invano. Perché non si riesce a dare risposta su quante sono le concessioni rilasciate, a capire le differenze tra territori? Qui non siamo di fronte alla liberalizzazione del commercio, le nostre attività non sono paragonabili a un bar.
Una concessione non è una autorizzazione: per come si stanno mettendo le cose, qui si parla solo di mandare a casa uno, per far entrare un altro, non è in ballo la libertà di concorrenza. La politica ci deve rispondere. Di certo occorre prevedere un periodo transitorio più lungo prima di ogni decisione”. Chiamata in causa da una platea che attraverso le parole di un nome storico delle imprese balneari abruzzesi come Sandro Lemme, responsabile dei balneari di Confartigianato, ha ricostruito un pezzo di storia della categoria (“Non si è capito di cosa stiamo parlando, qui sono in ballo famiglie, più che imprese, gente che per cinquant’anni ha gestito attività e che ora all’improvviso dovrebbe farsi da parte per lasciare il posto a soggetti magari ancora non costituiti”), la politica non si è sottratta al confronto, magari indicando quanto in casa d’altri è stato fatto. Oltre agli attestati di solidarietà espressi dal sindaco di Pescara, Carlo Masci, e del consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Guerino Testa, nel dibattito sono intervenuti anche parlamentari nazionali ed europei.
Così, per Salvatore De Meo, europarlamentare di Forza Italia, “la politica deve mettere mano al riordino del settore. Altri Paesi come Portogallo, Spagna e Croazia si sono mossi prima e meglio. Occorrono garanzie al sistema balneare italiano, esiste un principio di legittimo affidamento che va tutelato”. Di tenore non diverso il punto di vista del collega Brando Benifei del Pd: “La strada maestra è la riforma del demanio, dentro una logica di integrazione europea lontana da chi predica modelli sovranisti alla polacca”. Per il presidente della Commissione Finanze del Senato, Luciano D’Alfonso, infine, “certo, deve valere il principio della concorrenza, ma anche quello della coesione.
Occorre siano riconosciuti e messi “nero su bianco” nei criteri che ispireranno le gare future anche elementi che incidono sul valore, come l’avviamento delle attività e il riconoscimento degli investimenti fatti: alle amministrazioni va chiesto di approntare gare che sappiano rappresentare bene le esigenze che questo mondo esprime”.