Lo denuncia Roberto Campo, segretario Uil Abruzzo, ricordando che “il 2009 e il 2013 sono stati gli anni più duri, ma, come tante volte da noi rimarcato, il 2014 non sta segnando un’inversione di tendenza, ma un approfondimento della crisi del lavoro. Nel I trimestre del 2014, gli occupati sono stati 475mila (rispetto ai 490mila del 2013); nel II trimestre, scendiamo a 464mila, il numero più basso di occupati. Tutto ciò in un quadro nazionale di ulteriore peggioramento causato dai dati del Mezzogiorno. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, si è stabilizzato verso l’alto: dal 6,7 del 2008 (37mila disoccupati) all’11,4 del 2013 (64mila disoccupati). Anche qui, il 2014 non segna una svolta: 13,8 nel I trimestre (76mila disoccupati); 11,9 nel II trimestre (63mila disoccupati)”.
Per il sindacato “il dato dell’Abruzzo è pienamente meridionale. Ribadiamo: basta con l’immagine fasulla dell’Abruzzo cerniera, l’Abruzzo non avvicina il Mezzogiorno al Centro-Nord, ma si allontana dal Centro-Nord insieme con il Mezzogiorno, talvolta più rapidamente del resto del Mezzogiorno, come in questo caso: -1,5% gli occupati al Sud tra II e I trimestre 2014; -4,3% in Abruzzo. Da notare, inoltre, che l’Abruzzo perde occupati soprattutto nel terziario (ben 17mila in meno rispetto al I trimestre 2014), mentre l’industria recupera 3mila posti di lavoro. Alla crisi industriale di stampo centro-settentrionale si aggiunge una crisi del terziario di stampo meridionale. Dalle stime dell’Istat ai dati reali delle Comunicazioni obbligatorie: più cessazioni che attivazioni; sempre più precarietà. Anche l’Abruzzo è interessato dalla contrazione nel 2013 dei rapporti di lavoro attivati (circa 20.000 in meno l’anno) e da un saldo negativo rispetto ai rapporti cessati (-7.000). cresce in tutta Italia l’incidenza del lavoro temporaneo: 4 attivazioni su 5.
Quale soluzione? Per la Uil “il Job Act è l’ultimo di una serie di interventi che mettono l’accento sul cambiare le regole di ingresso e uscita nel mercato del lavoro invece che sul rilancio economico ed occupazionale. La legge Fornero andrebbe rovesciata: stabilità per i giovani e flessibilità per gli anziani. L’edilizia (cui apparteneva il 40% dei posti di lavoro perduti) non riparte. La politica industriale è rimasta un’aspirazione. Gli 80 euro sono stati una mossa giusta, ma annegano – conclude Campo – in un mare di disordine fiscale che tende sempre al rialzo complessivo delle tasse”.