Roma. Si è svolta ieri 4 marzo, dopo svariati rinvii, lìaudizione dei rappresentanti No Triv, Legambiente e WWF nell’ambito della discussione della risoluzione 7-00034 presentata dallìonorevole Mariastella Bianchi sulla sospensione delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi off shore e modifica della normativa sulla materia.
L’audizione a commissioni riunite (VIII e X) si è tenuta nell’aula dell’VIII Commissione (Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici) ed è stata presieduta dall’?onorevole Ermete Realacci.
Al breve incontro hanno preso parte Fabrizia Arduini del WWF Abruzzo, Stefano Lenzi (WWF), Giorgio Zampetti (Legambiente). In rappresentanza del Coordinamento No Triv è intervenuta Marica Di Pierri, dell’Associazione A Sud, una delle realtà aderenti al coordinamento.
Da tutti gli interventi auditi è emerso sostanziale parere favorevole rispetto alla risoluzione, pur chiarendone la parzialità e sottolineando la necessità di una profonda revisione dell’intera materia e di una ridiscussione della SEN (strategia energetica nazionale).
Si sono pronunciati in risposta alla memoria di No Triv (allegata) e alle memorie degli altri relatori due onorevoli del Movimento 5 Stelle che hanno chiesto lumi sui dati relativi allo sversamento di idrocarburi nel Mare Adriatico e in merito alle ricadute che le estrazioni hanno nel tessuto economico abruzzese. Particolarmente interessante pare essere il contrasto fra Strategia Energetica Nazionale e direttiva UE (si veda per quest’ultima il disegno di legge C. 1836 – Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre?).
COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV
RELAZIONE RISOLUZIONE BIANCHI AUDIZIONE CAMERA DEPUTATI
Relazione
(04 marzo 2014)
Oggetto: Risoluzione 7-00034 | Commissioni riunite (VIII e X) ? Camera dei Deputati
1. È d?uopo ricordare che la risoluzione in oggetto mira a spingere il Governo all?assunzione di impegni orientati alla sospensione delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi off shore e alla modifica della normativa in materia tra cui: l?estensione del divieto di svolgimento di tali attività entro 12 miglia dalla costa ai procedimenti di autorizzazione in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs.n.128/2010; l?adozione di misure tali da garantire che le attività succitate non mettano a rischio aree marine protette e/o zone di reperimento di parchi nazionali costieri; la verifica della sussistenza in capo ai titolari di concessioni per le medesime attività dei requisiti tecnici ed economici sufficienti a coprire rischi in caso di emergenza o incidenti. Vale la pena di aggiungere che in merito alla risoluzione in oggetto appare discutibile l?intervento in Commissione del Presidente della VIII Commissione On. Ermete Realacci che, pur condividendo nella sostanza considerazioni ed esigenze prospettate nell?intervento dell?On. Bianchi, prima firmataria della risoluzione, sottolinea la necessità di non compromettere, nella ricerca di una più stringente disciplina delle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi off shore, le esigenze industriali del paese, lasciando di fatto sottintendere un implicito criterio gerarchico che subordina la tutela ambientale a ratio economiche ed inerenti la competitività delle produzioni.
2. È utile sottolineare la stretta correlazione esistente tra utilizzo di fonti fossili e riscaldamento globale, fattore questo rimasto inspiegabilmente ai margini del dibattito sul rilancio della produzione nazionale di idrocarburi. Secondo l?OCSE ? Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel 2009 l?utilizzo di fonti energetiche fossili ha prodotto l?84% delle emissioni di gas clima alteranti. Gli allarmi della comunità scientifica internazionale e dell?IPCC rispetto ai cambiamenti climatici e alla portata catastrofica delle loro conseguenze impongono alle istituzioni pubbliche, tanto a livello nazionale quanto sovranazionale, di mettere in atto con urgenza misure concrete e non più rimandabili per la riduzione delle emissioni. L?Unione europea è il secondo mercato energetico al mondo con i suoi 450 milioni di consumatori. A livello Europeo, le principali novità contenute nel pacchetto energia clima 2030 sono rappresentate dall?innalzamento dell?obiettivo di taglio delle emissioni al 40% entro il 2030 e il passaggio dal 20 al 27% della percentuale di energia da fonti rinnovabili. Il pilastro della strategia europea di riduzioni è il sistema ETS (Emission Trading Scheme), rivelatosi secondo l?ENEA inadeguato ed inefficiente, oltre a sottintende una logica di finanziarizzazione della natura, che va affermandosi progressivamente, come dimostrano le negoziazioni sul clima in sede Onu. L?ENEA suggerisce di rendere riconoscibile la maggiore qualità ambientale delle produzioni, al fine di incentivarne il consumo. In questa direzione va la bozza di direttiva europea sulla fiscalità energetica: una nuova fiscalità che tenga conto del contenuto di carbonio di beni e servizi attraverso l?istituzione di imposte come l?Imposta sul Carbonio Aggiunto (ICA), oltre all?implementazione di strumenti come la Carbon Tax.
3. Il cambiamento climatico comporta conseguenze drammatiche anche dal punto di vista economico. Il Global Risks Record 2013 del World Economic Forum ha evidenziato come tra i principali fattori di rischio per l?economia globale ci sia il fallimento delle politiche di adattamento al cambiamento climatico e le emissioni di gas serra. ?Gli effetti non solo si tradurrebbero in significative perdite economiche, ma anche in spostamenti massivi delle popolazioni, aumentando l?insicurezza alimentare e aggravando la scarsità d?acqua?. Tradotto in cifre, secondo le stime dell?EU Climate Change Expert Group, l?impatto dei nuovi scenari climatici è tale da incidere tra il 5 e il 20% sul Pil mondiale. Il Segretario Generale dell?OCSE ? Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, Angel Gurria ha affermato recentemente che per limitare tali costi occorre eliminare a livello globale le emissioni prodotte da combustione di fonti energetiche fossili entro la seconda metà del secolo. Un intervento che, secondo l?economista Nicholas Stern, avrebbe bisogno di un investimento annuo pari al 2% del Pil Mondiale, di molto inferiore alla percentuale di Pil che risulterebbe compromessa da una situazione di caos climatico. Pur volendo, in sintesi, spostare sul piano della convenienza economica il ragionamento sulla pericolosità del cambiamento climatico (cui contribuisce in maniera sostanziale l?uso di fonti fossili) appare difficilmente comprensibile e di scarsa lungimiranza la non adozione di immediate misure di riduzione delle emissioni, a partire dall?impostazione di un immediato processo di transizione energetica e di decarbonizzazione dell?economia.
4. Nonostante quanto sin qui esposto la SEN – Strategia Energetica Nazionale italiana sceglie di puntare sull?ulteriore espansione della frontiera estrattiva di fonti fossili (in particolare petrolio e gas) piuttosto che sulla lotta agli sprechi energetici e su una serrata transizione alle energie rinnovabili. Dopo la trentennale assenza di una politica energetica nazionale, lo stivale intraprende la strada per divenire hub europeo del gas; con un incremento delle trivellazioni, il riaccentramento dei poteri in materia energetica a scapito delle Regioni, una attenzione alle rinnovabili in funzione integrativa e non sostitutiva, una centralità riconosciuta all?efficientamento energetico senza misure concrete per promuoverla. Una Sen lontana anni luce dall?investimento reale in processi di riconversione ecologica dell?economia. Nel frattempo, in Germania si accelera lungo la ?Road map UE 2050?, protesa verso il 100% rinnovabili, impostata su una strategia di sostituzione delle energie fossili con le rinnovabili. Mentre in Danimarca gli obiettivi climatici diventano legge: oltre ad approvvigionarsi per il 55% del fabbisogno energetico del paese da energia eolica, Copenaghen ha convertito in legge nazionale l?obbligo di riduzione del 40% di emissioni entro il 2020; ogni 5 anni il governo è tenuto a rivedere e aggiornare i propri obiettivi. In Italia, investire sul l?efficienza energetica potrebbe avere un impatto sul sistema economico nazionale pari al 2 per cento del PIL. Puntare sulla white economy, inoltre, comporterebbe anche un aumento dell?occupazione del 2 per cento e una riduzione dei consumi totali di energia compresa fra il 12 e il 18 per cento. Inoltre, secondo il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ?il pilastro portante della green economy in Italia è individuabile nell’industria dell’efficienza energetica. Lo sviluppo di una politica stabile e di lungo periodo sull’efficienza è un importantissimo volano per attivare la domanda interna e cogliere le opportunità di crescita ?. ogni euro di investimento pubblico nel settore dell’efficienza ne produce oltre 4 di beneficio collettivo. Abbiamo realizzato uno studio sull’impatto economico dell’efficienza energetica: oggi ci sono 250mila imprese coinvolte nella domanda per investimenti per l’efficienza. Nel periodo 2014-2020 con l’adozione delle proposte suggerite dal nostro studio si potrebbe avere un incremento della produzione industriale di 65 miliardi di euro all’anno e un aumento dell’occupazione di circa 500mila unità?. Secondo i fautori della SEN il rilancio della produzione nazionale di idrocarburi è funzionale al taglio dei costi dell’energia sostenuti dalle imprese. Questo teorema è tutto da dimostrare. Al contrario, secondo una proposta presentata dal Prof. Federico Testa, Direttore del Dipartimento di Economia Aziendale dell?Università di Verona, e Presidente del Comitato Scientifico di Smart Energy Expo, nel corso del Convegno “Obiettivo 2014: Efficienza energetica e sviluppo Un nuovo modello industriale”, tenutosi lo scorso 10 dicembre presso la Camera dei Deputati, a Palazzo Marini, dall’efficienza energetica è possibile far conseguire alle imprese risparmi tra 100 e 200 milioni di euro l’anno. Attraverso lo sviluppo e la realizzazione di progetti che consentano un risparmio di energia superiore al 5 per cento, ad esempio, le imprese aderenti al progetto potrebbero avere accesso ad un credito di imposta da utilizzare in tre anni. La proposta prevede anche un credito di imposta per venditori di energia o ESCo che promuovano gli interventi presso i clienti.
5. Ulteriore tassello del ragionamento è costituito dal necessario dibattito sulla rimozione degli incentivi ai combustibili fossili, ancora oggi cinque volte superiori agli incentivi alle rinnovabili. Secondo l?IEA ? Agenzia Internazionale dell?Energia, in assenza di riforme il monte complessivo di sussidio alle fonti fossili toccherebbe quota 660 miliardi di dollari nel 2020. In Italia la cifra complessiva di incentivi alle fonti fossili è di oltre 12 miliardi di euro l?anno tra sussidi diretti (autotrasportatori, centrali a carbone e a olio combustibile etc.) e indiretti (sgravi per attività estrattive, fondi per la costruzione di infrastrutture stradali etc.). Solo il trasporto di merci su gomma è destinatario nel nostro paese di oltre 5 miliardi di euro. Un?iniezione di fondi pubblici che non può che avere un forte impatto anche sulla fiscalità di famiglie e imprese. A chi argomenta che tali sussidi sono spesso adottati per alleviare forme di povertà energetica e promuovere lo sviluppo attraverso l?accesso all?energia va ricordato che delle centinaia di miliardi destinati ogni anno, ad usufruirne per oltre il 90% sono grosse aziende petrolifere. Al contrario, abolire ogni incentivo di questo genere porterebbe a una riduzione stimata del 5,8% delle emissioni entro il 2020.
6. Numerosi studi scientifici dimostrano l?impatto ambientale delle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi, con particolare riferimento alle attività off shore. Tra i reflui maggiormente contaminanti, le cosiddette acque di produzione (PFW) o acque di strato, spesso scaricate direttamente in acqua dopo processi di depurazione quando non convogliati verso gli impianti costieri o re-iniettati nelle formazioni geologiche profonde. La dispersione in mare favorisce fenomeni di bioaccumulo e tossicità negli organismi marini. Le circa 90 piattaforme installate nel solo mare Adriatico scaricano annualmente in mare circa 180.000 m3 di PFW. Dai fanghi perforanti alle acque di produzione non mancano inoltre sostante tossiche e metalli pesanti, con il rischio di gravi danni all?ecosistema e alle risorse ittiche e di danni alla salute umana. Ulteriore impatto è collegato agli incidenti e alle fuoriuscite di greggio, a tal proposito il report Sversamenti di prodotti petroliferi: sicurezza e controllo del trasporto marittimo, realizzato dall’ISPRA, sottolinea l?entità delle conseguenze in termini ambientali, sanitari e economici di sversamenti di petrolio in aree marine.
7. Caso specifico meritevole di attenzione riguarda le attività estrattive off shore al largo di Crotone, in Calabria. L?Eni, tramite la società controllata Ionica Gas, estrae sin dagli anni ?70 metano di fronte alle coste di Crotone attraverso un sistema di 30 pozzi e 35.000 mq di area interessata all?attività estrattiva, per un totale che copre circa il 15% del fabbisogno nazionale. Nonostante l?erosione progressiva della costa e del promontorio sovrastante e l?accentuarsi del fenomeno di subsidenza che interessa l?area, facilmente collegabile alle attività estrattive, non è stata approntata nei decenni una adeguata attività di monitoraggio. Attualmente altre imprese estrattive (tra cui Shell, Northen Petroleum, Enel) hanno chiesto autorizzazione per ricerca in mare, in una zona già gravemente compromessa dal punto di vista ambientale e morfologico.
8. Secondo il rapporto del WWF, sono attualmente attive nei mari italiani: 3 istanze di permesso di prospezione (in un?area di 30.810 kmq), 31 istanze di permesso di ricerca (in un?area di circa 14.546 kmq), 22 permessi di ricerca (in un?area di circa 7.826 kmq), 10 Istanze di coltivazione (in un?area di circa 1.037 kmq), 67 concessioni di coltivazione (che occupano un area pari a 9.025 kmq) con 396 pozzi produttivi in mare di cui 335 a gas e 61 a petrolio. 104 sono le piattaforme di produzione, 8 quelle di supporto alla produzione, 3 unità galleggianti di stoccaggio temporaneo.
9. Preoccupante è in materia il quadro dei paesi che si affacciano sull?Adriatico: anche Croazia, Albania, Montenegro stanno avviando attività di ricerca e coltivazione. Un vero e proprio assalto delle compagnie petrolifere al “Mare nostrum”, grazie ad esenzioni, agevolazioni e a una politica compiacente. In Albania a partire dal 2009 gli investimenti privati nel settore del greggio hanno registrato una decisa impennata, soprattutto attorno al giacimento onshore di Patos Marinza, con una riserva stimata di 7,7 miliardi di barili. In Croazia, l?avvio delle operazioni è stato annunciato all?indomani dell?ingresso come 28esimo nell?Unione Europea. Dopo aver sposato i progetti TAP e South Stream per rafforzare la diversificazione delle forniture di gas, Zagabria punta ora ad implementare lo sfruttamento dei giacimenti ubicati a largo delle proprie coste, oltre che a costruire un rigassificatore sull?isola di Krk ( con il contributo del Qatar ) , che consentirà a Zagabria di importare sia il gas liquefatto da Doha che lo shale proveniente dagli USA da destinare poi al mercato europeo. Anche il Montenegro guarda con interesse ai giacimenti sottomarini, attraverso una gara di appalto per lo sfruttamento del petrolio nazionale che però non è ancora stato scoperto. La dimensione di ogni blocco è di circa 300 chilometri quadrati. Nella prima gara saranno pubblicati i bandi per 13 blocchi per una superficie totale di un massimo di 3.000 chilometri quadrati. È evidente come tali attività, a causa degli impatti che potrebbero avere sullo stato di salute del mediterraneo, necessitano di un approccio transnazionale.
Conclusioni
In definitiva, dopo quanto sin qui esposto, il coordinamento nazionale No Triv esprime parere positivo rispetto alla risoluzione in oggetto specificando che essa non può essere considerata rimedio definitivo, ma la sua adozione rappresenterebbe un primo passo rilevante per la revisione dell?intera disciplina normativa riguardante prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi oltre che per una auspicabile e profonda revisione della Sen. Infine, l?emergenza climatica e la crisi energetica legata al picco delle fonti fossili potrebbero e anzi dovrebbero costituire occasione tanto per l?Italia quanto per l?Europa di raccogliere una sfida: quella di immaginare e incentivare una transizione energetica non solo legata alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento ma anche alla costruzione di un nuovo modello di produzione, distribuzione e consumo. Vanno in questo senso le riflessioni orientate ad una produzione energetica distribuita e decentralizzata, fondate sulla necessità di ripensare la produzione e l?uso di energia attraverso il riconoscimento del cittadino non più solo come consumatore, ma come parte attiva dell?intero processo. Mettere un freno all?estrazione, evitare mega progetti contaminanti, incentivare la microproduzione domestica, investire nella costruzioni di reti intelligenti ed efficientare l’intero sistema produttivo servirebbe, d?un colpo, a rispondere alla sfida climatica, combattere i monopoli in campo energetico, rilanciare l’economia e redistribuire ricchezza e favorire la partecipazione della società civile.