Una maxi vertenza nazionale, quella del comparto balneare, che solo in Abruzzo conta circa 800 imprese. Dopo la protesta di un mese fa, dal Senato è partito un emendamento alla decreto del ministro Gnudi, contestato dal settore per la troppa accondiscendenza con la direttiva europea Bolkestein. Quella, cioè, che dal 2015 rimette all’asta tutte le concessione demaniali per stabilimenti, chioschi, ristoranti ed esercizi commerciali installati sulle spiagge. Se 30 anni era la richiesta avanzata dal parlamento, con l’opposizione del governo e del Commissario europeo Barnier, la piccola vittoria ottenuta ieri dalla commissione Bilancio al Senato consta dell’approvazione al rinnovo delle concessioni per cinque anni, dunque almeno sino al 2020. “Lo riteniamo un successo, perché ora abbiamo tempo per riprendere le trattative in sede europea, e nel frattempo abbiamo garantito un’ancora di salvezza a imprese per lo più familiari, ad aziende che hanno investito su quelle imprese e che rischiavano di veder svanire da un momento all’altro il frutto del proprio lavoro”: parole del sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia, non condivise a pieno da Antonio La Torre, presidente di Fiba-Confesercenti abruzzo nonché vice presidente nazionale, che oggi pomeriggio ha convocato nella sede regionale di via Raiale a Pescara i balneari di tutte le province abruzzesi per portare avanti la mobilitazione.
LA TIPICITA’ ITALIANA. Al centro del dibattito la presunta discriminazione nei confronti del Bel Paese. In Portogallo le concessioni durano 75 anni, in Spagna 30, in Croazia addirittura fino a 99 anni: “Per loro le maglie si allargano perché lì ci sono investimenti di capitali esteri”, sostiene La Torre, “la tipicità italiana, invece, vede imprese a conduzione familiare che si tramandano le concessioni di generazioni in generazioni”. Imprese, quindi, meno tutelate, forse anche meno difendibili, ma che godono comunque della tutela del diritto d’impresa, messo a rischio dall’appartenenza alla comunità europea. A questo punto sono in molti a chiedersi se dall’intesa comunitaria si trae realmente vantaggio: “Il nostro governo dovrebbe perorare la nostra causa a Bruxelles, ma evidentemente non c’è la volontà di salvaguardare il settore balneare italiano”, conclude La Torre.