In Abruzzo hanno risposto solo il Comune di Casalbordino, dove il sindaco specifica che “Al momento l’Ente non ha disponibilità ai fini della risorsa dati necessaria per la materia in oggetto.”, il Comune di Cocullo, che ha rispedito la scheda di censimento compilata, il Comune di Guardiagrele che, per tramite del responsabile del settore tecnico, ha comunicato “A riguardo della Vostra richiesta di compilazione e restituzione della scheda di censimento trasmessa si informa che l’istanza richiede un particolare e complesso impegno di raccolta ed elaborazione dati non immediatamente disponibili e, in taluni casi, non reperibili; detta attività non è riconducibile ad un procedimento di accesso agli atti informale ai sensi della L. 241/90 né ad altro procedimento di competenza. Inoltre, la campagna nazionale promossa non rientra nelle precipue attività d’Istituto né è annoverata nella programmazione dell’Ente per cui non è possibile attivare le risorse umane e materiali di questo Settore per la compilazione della scheda. Sono pertanto spiacente di comunicare che non si può dar corso al lavoro richiesto.”, e il Comune di Tortoreto, che ha inviato dei dati, anche se non nel formato previsto dalla scheda di censimento.
Dagli altri comuni nessuna risposta.
La cosa che sorprende di più, in tutta la vicenda, oltre al silenzio della maggior parte della amministrazioni (obbligate, per legge, a dare comunque un riscontro alle richieste dei cittadini) è il tenore di alcune risposte, pubblicate integralmente online sul sito del Forum, dalle quali si capisce quanto sia difficile il rapporto tra cittadino e enti pubblici. “Abbiamo deciso di utilizzare la Posta elettronica certificata, ma in vari casi, nonostante avessimo in mano tre certificati che attestavano la ricezione del messaggio, il Comune sosteneva di non aver ricevuto nulla”, racconta il coordinatore del Forum, Alessandro Mortarino. Il diniego è motivato nella maggior parte dei casi dalla «carenza di personale» da dedicare alla raccolta dei dati e poi dal fatto che l’ente non è obbligato per legge a rispondere al questionario (vedi il caso di Guardiagrele). Senza contare i Comuni che, pur di non rispondere, tirano in ballo la legge sulla privacy: “Non possiamo rispondere alle vostre domande perché la ricerca dei dati impegnerebbe eccessivamente gli uffici comunali già in carenza di personale”. Oppure: “Molti dati non sono in nostro possesso” e “non si danno informazioni per la legge sulla privacy”.
Eppure il questionario non richiede assolutamente dati sensibili limitandosi al numero di edifici non utilizzati, senza alcun dato relativo ai proprietari o alla localizzazione degli immobili; la “scusa” della privacy, quindi, non regge.
“La partita è molto dura. Dai Comuni incontriamo resistenza, che non è politica, ma burocratica”, prosegue Mortarino. “Non vogliamo credere che le amministrazioni davvero non dispongano di questi dati, perché vorrebbe dire che fanno i piani di governo del territorio (Pgt) senza gli elementi fondamentali per una programmazione del territorio. Sapere a che punto siamo sul consumo del suolo italiano è importante per capire dove vogliamo andare e quale sviluppo è ancora possibile. Per questo non ci fermiamo e insisteremo finché ogni Comune non abbia restituito la sua scheda”.
Infatti uno degli elementi principali da studiare, per la predisposizione di piani regolatori comunali, è proprio quello della capacità insediativa della strumentazione urbanistica unitamente al fabbisogno di abitazioni e/o edifici produttivi, in modo da consumare meno suolo e ottimizzare gli interventi.
In tal senso il Consiglio dei ministri il 14 settembre scorso ha approvato un disegno di legge per “garantire l’equilibrio tra i terreni agricoli e le zone edificate o edificabili, ponendo un limite massimo al consumo di suolo e stimolando il riutilizzo delle zone già urbanizzate”, come ha spiegato il premier Mario Monti. Il DDL pone dei limiti alla trasformazione dei terreni agricoli in edificabili. “Abbiamo introdotto un sistema che vincola l’ammontare massimo di terreno agricolo cementificabile, distribuendolo armonicamente su tutto il territorio nazionale”, ha spiegato il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania. “Vogliamo interdire per cinque anni i cambiamenti di destinazione d’uso dei terreni che hanno ricevuto i fondi dall’Unione Europea. Inoltre, il provvedimento interviene sul sistema degli oneri di urbanizzazione dei Comuni, che oggi favorisce la cementificazione di aree agricole”.
Una norma auspicata da più parte, dalle associazioni ambientaliste agli ordini professionali e di categoria, nella consapevolezza che la risorsa suolo non è infinita e che il nostro Paese ha bisogno di una regolamentazione che eviti gli errori del passato.
Ma il silenzio dei nostri comuni non aiuta a sperare in un inversione di tendenza.