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‘Ndrangheta, Clan Ferrazzo voleva rinascere in Abruzzo: i nomi dei 25 arrestati

L’Aquila. Il clan Ferrazzo della ‘ndrangheta voleva rinascere in Abruzzo, arrivando in una ‘isola felice’ per ricostruire le proprie abitudini criminali usando lo spaccio di droga per finanziare altre attività lecite e illecite.

È quanto emerge dall’indagine relativa all’operazione dei carabinieri denominata ‘Isola Felice’, che ha portato all’emissione di 25 custodie cautelari, di cui 14 in carcere, e 149 indagati in sei regioni (Abruzzo, Molise, Calabria, Lazio, Marche e Sicilia)

L’operazione antimafia scattata questa mattina è l’epilogo di una inchiesta partita a Campobasso su iniziative della locale Procura.

Tutto prese il via dal ritrovamento di un arsenale di armi, nascoste in una macchina di proprietà di Eugenio Ferrazzo, pregiudicato 38enne di Mesoraca. L’auto fu trovata in un garage di Termoli nel luglio del 2011 e proprio in seguito a questa vicenda Ferrazzo fu condannato dal tribunale di Larino a 12 anni di carcere. Ad affittare il locale da una donna del posto era stato il collaboratore di giustizia Felice Ferrazzo, padre di Eugenio.

Nell’ambito dell’indagine svolta a Campobasso, condotta personalmente dal procuratore Armando D’Alterio insieme al sostituto Rossana Venditti, grazie alle intercettazioni, sono stati approfonditi i collegamenti di Eugenio Ferrazzo con la malavita abruzzese e i contatti di suo padre con gli stessi ambienti in Calabria.

A partire dal 2011 i magistrati di Campobasso hanno dunque avviato una collaborazione investigativa con la Procura dell’Aquila fornendo, durante incontri svolti alla Procura nazionale Antimafia, una serie di intercettazioni ambientali effettuate nel carcere di Campobasso e riguardanti Eugenio Ferrazzo.

Nelle conversazioni c’erano “rilevantissimi elementi di prova” in merito a reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e che spostavano il fulcro dell’indagine in Abruzzo (seppure con notevoli ricadute in Molise).

Il procedimento è stato dunque incardinato dai magistrati dell’Aquila ed è poi sfociato nell’imponente blitz di questa mattina.

Secondo quanto disposto dal gip dell’Aquila Giuseppe Romano Gargarella, su richiesta della procura distrettuale antimafia, i 14 arrestati in carcere sono Felice Ferrazzo, Eugenio Ferrazzo, Maria Grazia Catizzone, Emilio Rossi, Mirko Marchese, Fabio Marchese, Mirko De Notaris, Rocco Perrello, Alina Elena Anton, Antonio Popolo, Carmine Farese, Francesco Scicchitano, Giuseppe Di Donato e Alessandro Contin.

Gli arresti domiciliari sono stati concessi a sei persone: Antonio Nicola Morganella, Antonino Granata, Vincenzo Macera, Domingos Junior Catanzaro, Pasquale Gagliano e Olesia Molcanova.

Ci sono, infine, cinque misure di obbligo di dimora nel comune di residenza e presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria per Tiziana Mila, Francesca Zullo, Costantino Petrucci, Espinoza Josè Maria Solarte e Orlando Iannarone. Gli indagati a piede libero sono in tutto 149.

Secondo quanto appreso da fonti investigative, irreperibili nel corso dell’operazione di oggi sono risultati la Anton tra i destinatari di custodia cautelare in carcere, la Zullo e Solarte tra quelli colpiti da obbligo di dimora.

Tra le attività sequestrate, a San Salvo Bike& Car, a Termoli Joker’s Club, Slot Centro Studi, Accademia Biliardi La Garuffa, Nuovo Caffè-Deja vu e Molise Casa Costruzioni. A Termoli, infine, Pizzeria Napul’è ‘o panzerott e Bar Planet Caffè. Il gip ha nominato amministratore giudiziario Francesco Pietrocola.

Il comandante provinciale dei carabinieri di Pescara, il colonnello Paolo Piccinelli, ha spiegato il nome dell’operazione con il fatto che il principale indagato, Felice Ferrazzo, ‘si era stabilito in quella riteneva fosse un’isola felice, e giustamente perché lo è. Pensava di ricostruire qui le sue abitudini – ha precisato – Il 75% del Pil della ndrangheta è costituito dal traffico di droga e voleva riallacciare rapporti con la casa madre e con altre consorterie criminali’.

Il comandante del nucleo investigativo, il maggiore Massimiliano Di Pietro, ha rimarcato anche ‘il ruolo importante delle donne del clan. I trasporti di droga avvenivano non solo sui mezzi, ma anche sulla persona, con ovuli ingeriti o inseriti in un cilindro metallico’.

‘La cocaina spesso veniva importata in forma liquida, quindi entravano in gioco esperti che la riportavano allo stato di polvere – ha aggiunto – La droga poi veniva piazzata sul mercato attraverso una rete di italiani e stranieri che hanno invaso Pescara, Montesilvano, Vasto, San Salvo e la costa molisana’.

Secondo Di Pietro, ‘l’associazione era in grado di attuare forme di autoriciclaggio nel commercio di autoveicoli o attività di ristorazione in genere dove venivano reinvestiti i proventi. I pagamenti – ha concluso – avvenivano attraverso i circuiti money transfer che abbiamo monitorato’.