Acqua a rischio petrolio in Abruzzo

IMG_2872_webPescara. L’acqua abruzzese è a fortissimo rischio inquinamento a causa delle attività connesse allo sfruttamento e al trasporto degli idrocarburi, ma il piano delle acque incredibilmente non affronta il problema. Questa la denuncia lanciata oggi da WWF e Legambiente con il dossier “Acqua a rischio petrolio! Modificare il Piano Tutela delle Acque della Regione Abruzzo per far fronte alla petrolizzazione della Regione” presentato questa mattina a Pescara.

Il piano tutela delle acque è stato adottato dalla giunta regionale lo scorso agosto ed è attualmente nella fase di valutazione e ricezione di osservazioni. Dovranno trascorrere sei mesi dall’adozione, prima di un nuovo passaggio in giunta e della definitiva approvazione da parte del consiglio. Ma in nessuna parte del piano, rilevano le associazioni ambientaliste, si fa cenno alle attività legate a petrolio e idrocarburi in generale.

“Ci sembra strano che la regione dichiari a più riprese di voler porre un freno alle attività petrolifere e poi, quando ha l’occasione di mettere in pratica questi propositi, se ne dimentichi” afferma il consigliere nazionale WWF Dante Caserta. “Negli strumenti di programmazione a disposizione della regione, tra i quali il piano tutela delle acque, la materia continua ad essere ignorata. A questo punto o siamo di fronte a un comportamento schizofrenico oppure si tratta di mere dichiarazioni di principio”.

“Dal piano adottato dalla giunta Chiodi” aggiunge il presidente di Legambiente Abruzzo Angelo Di Matteo “sembra che le attività legate al petrolio non abbiano niente a che fare con le condizioni delle acque. Questo è imperdonabile. Il piano è invece fondamentale per determinare il futuro della regione ed è molto grave che non affronti i rischi derivanti da sfruttamento, lavorazione e trasporto degli idrocarburi”.

“La risposta che abbiamo ottenuto, secondo cui il piano non è tenuto a occuparsi della questione idrocarburi, è del tutto insoddisfacente” dichiara Augusto De Sanctis, referente acque del WWF Abruzzo. “La regione deve riappropriarsi delle competenze che la legge le affida”.

L’approfondito dossier di WWF e Legambiente evidenzia l’elevatissimo rischio ambientale connesso allo sfruttamento degli idrocarburi per fiumi, falde e acque marino-costiere abruzzesi. Le attività comprendono l’estrazione, ma anche la lavorazione, il trasporto e lo stoccaggio. In Abruzzo  per queste attività vengono utilizzati ben tre attracchi costieri – Pescara, Ortona e Vasto – e sono oltre settecento le perforazioni già presenti nel territorio regionale, tra ricerca, ispezione ed estrazione.

Il mar Mediterraneo, emerge inoltre dal dossier, è già ora il mare più contaminato al mondo da idrocarburi, con una media di 38 milligrammi per metro cubo d’acqua. Al suo interno l’Adriatico centrale è una delle aree con maggiore frequenza di sversamenti accidentali o volontari di petrolio in mare ed è considerato al massimo livello di rischio assieme al mar Ligure.

“Il nostro dossier” afferma Caserta “dimostra la totale incompatibilità tra sfruttamento degli idrocarburi e tutela degli acquiferi”.

WWF e Legambiente chiedono che il piano venga modificato in modo da bloccare la deriva petrolifera in Abruzzo. Aggiornare il quadro della situazione attraverso i dati a disposizione delle associazioni e attuare interventi di tutela almeno in zone con presenza di acque destinate al consumo umano, come sorgenti e aree vicine ai fiumi, sono solo alcune delle dettagliate proposte. “C’è ancora tempo per intervenire, ma” esorta De Sanctis “bisogna aprire subito un tavolo tecnico”.

Pierluigi Farnese

 

 

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