Dossier Texas Italia: la minaccia del petrolio nell’Abruzzo verde

piattaforme_marine_1_big“In Italia nel 2009 sono state estratte 4,5 milioni di tonnellate di petrolio, circa il 6% dei consumi totali nazionali di greggio. Il resto è importato dall’estero. Ma la quantità rischia di aumentare, perché oggi in nome di una presunta indipendenza energetica stanno aumentando sempre di più le istanze e i permessi di ricerca di greggio nel mare e sul territorio italiano. Una ricerca forsennata per individuare ed estrarre le 129 milioni di tonnellate, secondo le stime del Ministero dello sviluppo economico, ancora recuperabili. Ma il gioco vale la candela?”.

Comincia così il dossier Texas Italia, elaborato da Legambiente e presentato ieri a Roma. Un rapporto dettagliato sulla situazione delle estrazioni petrolifere in Italia, che vedono, in un ruolo di primo piano, l’Abruzzo verde.

Al momento, vi sono nove piattaforme marine attive, per un totale di 76 pozzi da cui si estrae olio
greggio. Due sono localizzate di fronte la costa marchigiana di Civitanova Marche, tre di fronte a quella abruzzese di Vasto e le altre quattro nel canale di Sicilia di fronte al tratto di costa tra Gela e Ragusa.

Sulle oltre 500mila tonnellate estratte nel 2009, il 50% circa proviene dalle piattaforme “Rospo Mare” di proprietà di Edison di fronte la costa abruzzese.

Sono numeri destinati a crescere, secondo il dossier Legambiente, considerato che sono sempre più numerose le richieste inoltrate per ottenere il permesso di ricerca. L’ultima, quella presentata dalla Petroceltic Italia, per un’area a mare di 728,20 km quadrati che si estende nel tratto antistante la costa abruzzese compresa tra Pineto e Vasto.

E a nulla servirebbe, secondo l’associazione ambientalista, il decreto di riforma del codice ambientale, approvato in Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. Lo schema di decreto prevede, infatti, il divieto di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi all’interno delle aree marine e costiere protette e per una fascia di mare di 12 miglia attorno al perimetro esterno delle zone di mare e di costa protette. Le attività di ricerca ed estrazione di petrolio sarebbero vietate anche nella fascia marina di 5 miglia lungo l’intero perimetro costiero nazionale. Al di fuori di queste aree in cui vigerebbe il divieto, le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi verrebbero sottoposte a valutazione di impatto ambientale. “Si tratta di un provvedimento dall’efficacia davvero relativa” si legge nel dossier. “La norma non si applica infatti a pozzi e piattaforme esistenti. E poi cosa cambierebbe se un incidente avvenisse in un pozzo o una piattaforma localizzata al di là di 5 o 12 miglia dalle coste?”.

La ricerca di idrocarburi si estende anche alla terraferma in 13 regioni italiane, dove sono stati rilasciati 71 permessi di ricerca per oltre 25mila kmq. Nove sono quelle presentate in Abruzzo, su una superficie di 3.148 Kmq.

Su un totale di 305 comuni abruzzesi, 221 sono quelli interessati dal rischio trivellazioni: 92 in provincia di Chieti, 47 a L’Aquila, 42 a Pescara, 40 a Teramo.

Senza dimenticare poi il rischio inquinamento da idrocarburi che potrebbe essere generato da eventuali incidenti in mare. “Dal 1985” si legge nel dossier “si sono verificati nel Mediterraneo ben 27 incidenti rilevanti con uno sversamento complessivo di oltre 270mila tonnellate di idrocarburi. E sempre l’Italia detiene il primato del greggio versato nei principali incidenti con 162.600 tonnellate”.

 

 

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