Pescara. In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili.
Nonostante ciò, il quadro che emerge dall’ultimo rapporto “Stop Pesticidi” è tutt’altro che rassicurante: il 42% dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulta contaminato da uno o più sostanze chimiche. Il multiresiduo (presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), è salito di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da record: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola, cioè in alimenti dalle ben note proprietà nutrizionali che però finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi.
In Abruzzo solo un campione di insalata e un campione di zucchine su 360 prodotti analizzati sono risultati irregolari, per superamento del limite massimo di residuo (LMR) rispettivamente di Difenoconazole e di quinoxifen. Il 52% circa del campione contiene uno o più residui di pesticidi, percentuale che sale al 78% se si prende in considerazione solo la frutta. Le sostanze maggiormente riscontrate sono Boscalid, Fludioxonil, Chlorpyrifos, Tebuconazole, Dimethomorph e Metalaxyl.
E’ quanto emerso dall’ultimo dossier di Legambiente “Stop ai pesticidi”. “Chiediamo alla regione Abruzzo – dichiara Luzio Nelli responsabile agricoltura di Legambiente Abruzzo – un impianto normativo che incentivi con misure concrete e premialità chi pratica biologico, biodinamico e contribuisce alla diffusione dei principi dell’agroecologia con l’obiettivo di superare l’uso della chimica in agricoltura. Un obiettivo da non mancare, l’adozione di un piano regionale regionale per il biologico che preveda almeno il raddoppiando entro il 2020 della superficie coltivata a biologico. Chiediamo alla Regione di escludere il glifosato da qualsiasi premio nei PSR le aziende che ne facciano uso”.
Solo lo 0,7% dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati dal laboratori pubblici regionali risultano fuori legge per la presenza di determinate sostanze chimiche oltre il limite permesso o per tracce di sostanze vietate dalla normativa attuale. In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili.
“La normativa vigente – continua Nelli, – ha portato nel tempo a controlli più stringenti sull’uso corretto dei pesticidi in agricoltura, tuttavia i piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori. La normativa infatti, continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti come se fosse l’unico a contaminare un prodotto. Come abbiamo visto però, i residui possono essere anche più di dieci e dunque è fondamentale che l’Efsa si attivi per valutare e definire i rischi connessi ai potenziali effetti sinergici sulla salute dei consumatori e degli operatori e quelli sull’ambiente. Anche la legislazione europea (Regulation (EC) No. 396/2005) chiede che nella determinazione del LMR si tenga conto dei possibili effetti cumulativi, additivi e sinergici tra le sostanze, metodologia che oggi tarda ad essere applicata”.
Gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato gli effetti che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce anche in termini di perdita della biodiversità, riduzione della fertilità del terreno ed accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli. Ad esempio, l’uso spropositato di erbicidi a largo spettro per il controllo delle infestanti, quali il ben noto glifosato, lascia i suoli perennemente nudi ed esposti. Proprio sulla questione dell’utilizzo del glifosato si è attivato il Tavolo delle 17 associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica, di cui Legambiente fa parte, richiedendo ai ministri della salute, dell’ambiente, delle politiche agricole di intervenire per impedirne definitivamente la produzione, la commercializzazione e l’uso, dopo che lo IARC, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, lo ha classificato come sicuro cancerogeno per gli animali e fortemente a rischio anche per l’uomo. Il tavolo delle associazioni ha quindi sollecitato il Governo e il Parlamento a intervenire urgentemente per l’applicazione del principio di precauzione e per chiedere alle Regioni di rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono e di escludere da qualsiasi premio nei PSR le aziende che ne facciano uso.
Fortemente minacciata è anche la salute delle acque, come l’ISPRA ha sottolineato nell’ultimo Rapporto sullo stato delle acque italiane (2013), che ha rilevato la presenza in acque superficiali e sotterranee di 175 diverse sostanze chimiche, erbicidi in primis, con il glifosato in testa, seguito da fungicidi e insetticidi. A fare le spese del largo ricorso alla chimica di sintesi per usi agricoli è anche la biodiversità. Si pensi alla moria di api senza precedenti, che negli anni scorsi ha portato a puntare l’indice contro i neonicotinoidi – thiamethoxam, clothianidin e imidacloprid – gli antiparassitari usati per la concia delle sementi di mais, di cui in Italia ad oggi è sospeso l’utilizzo.
Oggi l’agricoltura italiana sta compiendo diversi sforzi nella direzione di un uso sostenibile dei pesticidi. Il miglioramento che si registra è sostenuto soprattutto da quella fetta crescente di agricoltori che rivolgono lo sguardo al biologico, oggi non più un mercato di nicchia ma un comparto produttivo e competitivo, il cui fatturato si attesta sui tre miliardi di euro. Lo evidenziano i dati presentati dal Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica del Mipaaf (Sinab), secondo cui la superficie agricola coltivata a biologico ha raggiunto il 10,8% della superficie agricola utilizzata totale e il settore ha registrato un incremento del 5,8% del numero di operatori certificati rispetto al 2013. La strada da percorrere è quindi già definita, occorre però che sia sostenuta da un solido impianto normativo che incentivi con misure concrete e premialità chi pratica biologico, biodinamico e contribuisce alla diffusione dei principi dell’agroecologia.
A tal proposito, l’adozione di un Piano d’Azione Nazionale per il biologico che tra le misure quantifichi il traguardo da raggiungere, almeno raddoppiando entro il 2020 la superficie coltivata a biologico, è un obiettivo da non mancare. Buone pratiche agricole, come la rotazione colturale, il sovescio e tecniche di lavorazione del terreno a minor impatto ambientale contribuiscono a mantenere i suoli sani e fertili, a preservarli dall’erosione e ridurre il rischio idrogeologico. Suoli sani inoltre restituiscono prodotti salubri e genuini. Il ripristino e la valorizzazione di queste tecniche agronomiche rappresentano quindi la direttrice su cui condurre l’agricoltura italiana per raggiungere non più procrastinabili obiettivi di sostenibilità.
Dossier completo al link: http://www.legambiente.it/contenuti/articoli/dossier-stop-pesticidi-2015