Secondo Di Croce, inoltre, nell’ambito dell’indagine che ha coinvolto la Protezione Civile, Chiodi vorrebbe apparire per quello che, invece, non sarebbe. “Un politico estraneo al sistema gelatinoso su cui i magistrati di Firenze hanno fatto scattare le manette” specifica, infatti. “Ma allora, se così è, perché non risponde alle domande che gli poniamo, perché non parla dei suoi rapporti di lavoro e delle ditte denunciate su “L’Espresso”?”.
Il politico teramano si chiede, ad esempio, il perché di tanto silenzio sulla presidenza del collegio dei revisori dell’Enit, carica che sarebbe ricoperta dal collega di studio del governatore. O perché, in Consiglio regionale, la maggioranza rifiuterebbe il confronto sulla ricostruzione delle case popolari a L’Aquila.
“Queste domande Chiodi le ha affogate nella gelatina del suo potere, oggi immenso” tuona Di Croce, “che infastidisce di fronte alle domande dell’opinione pubblica e crede che la democrazia sia mettere un voto nell’urna ogni cinque anni e che questo gli consenta di comportarsi come il padrone dell’Abruzzo. La nostra regione non è il suo studio da commercialista, gentile governatore. Il suo partito, seppure di maggioranza, non ha lanciato una OPA sulle istituzioni regionali. Prima o poi arriva sempre il conto”.