Gli stessi investigatori sono al lavoro per risalire agli autori delle offese. Intanto la Boldrini spiega di non aver paura, malgrado le minacce arrivate ogni giorno. “Non ho paura ma dico basta all’anarchia del web”, dice in una intervista a Repubblica, lanciando un allarme perché sulla rete sono in atto “campagne d’odio”. “E’ tempo di fare una legge”, osserva la presidente della Camera. “In Italia – spiega – le donne continuano a morire per mano degli uomini e per molti è sempre e solo una fatalità, un incidente, un raptus. Se questo accade, è anche perché chi poteva farlo non ha mai sollevato il tema a livello più alto, quello istituzionale”. “Io non ho paura”, ripete la presidente della Camera che ogni giorno riceve messaggi di morte, minacce di violenza anche sessuale. “Non ho paura adesso di aprire un fronte di battaglia, se necessario. Daremo visibilità a un gruppo di fanatici? Sì, è vero. Ma non sono pochi, sono migliaia e migliaia, crescono ogni giorno e costituiscono una porzione del Paese che non possiamo ignorare: c’è e dobbiamo combatterla…. E poi non è una questione che riguarda solo me”. E spiega: “ci sono due temi di cui dobbiamo parlare a viso aperto. Il primo è che quando una donna riveste incarichi pubblici si scatena contro di lei l’aggressione sessista: che sia apparentemente innocua, semplice gossip, o violenta, assume sempre la forma di minaccia sessuale, usa un lessico che parla di umiliazioni e di sottomissioni. E questa davvero e’ una questione grande, diffusa, collettiva. Non bisogna più aver paura di dire che e’ una cultura sotterranea in qualche forma condivisa. Un’emergenza, in Italia”. Boldrini invita dunque ad affrontare la questione: “facciamolo finalmente, a partire da internet dove si sta diffondendo una cultura della minaccia tollerata come burla. So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela.
Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta o attraverso una scritta sul muro, sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web. Me lo domando – sottolinea – chiedo che si apra una discussione serena e seria”. “Se il web è vita reale – continua Boldrini – e lo è, se produce effetti reali e li produce, allora non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in Rete rispetto a quel che succede per strada”. E sulla questione della scorta, la Presidente ripete: “Ho chiesto di non essere scortata. Non ho paura di camminare per Roma. Non ho paura di andare da casa in ufficio. Può accadere qualsiasi cosa in qualsiasi momento ma questo vale per chiunque. Mi sento molto più vulnerabile quando penso che chiunque, aprendo un computer, anche i ragazzi giovanissimi che vivono connessi, possono vedere il mio volto sovrapposto a quello di una donna sgozzata. Mi domando che effetti profondi e di lungo periodo, fra i più giovani, un’immagine così possa avere”.
Le parole di Vendola: “Laura Boldrini è una donna coraggiosa e denuncia l’umiliazione perenne delle donne sul web e nella vita quotidiana. Siamo con lei. Sotto gli occhi della politica si consuma su di loro una spirale di violenza senza fine, anche oggi piangiamo delle vittime. Serve una reazione culturale, sociale, politica: lasciamoci alle spalle la volgarità, il burlesque, il sopruso”.
L’Osservatorio Nazionale Stalking riceve ogni anno centinaia di segnalazioni in cui la persecuzione passa anche (o solo) via internet, e non è assolutamente meno devastante dello stalking “tradizionale”, in quanto l’universalità di internet moltiplica il disagio della persona che lo subisce, impotente dinanzi alla pervasività della rete nel causare forte disagio e paura nella sua vita reale. Il disagio psicologico a seguito di cyberstalking può portare a serie conseguenze nella vita reale, ed è giunto il momento – data l’importanza dei social network nella nostra vita relazionale – di riconoscere questa realtà nella sua drammaticità”.
PERCHE’ SI PERSEGUITA VIA INTERNET
Lo persecuzione attuata da un soggetto ai danni di un altro (designato come origine del suo disagio) avviene come una sorta di dipendenza (craving) che spinge lo stalker a mantenere contatti di controllo ossessivo e di minaccia sulla vittima al fine di indebolirla e renderla assoggettabile e confusa a causa della grande paura che questi comportamenti causano alla persona offesa. L’Osservatorio Nazionale Stalking ha risocializzato 250 stalker che, grazie al percorso seguito al Centro Presunti Autori, sono riusciti a smettere di perseguitare la vittima (45% dei casi). [approfondimento nelle prossime pagine]
Esamineremo alcuni casi internazionali di persecuzione via internet che hanno portato alla disperazione le vittime, tanto che hanno deciso di togliersi la vita. L’aleatoria politica in tema di privacy di alcuni social network permette a qualsiasi utente di sentirsi in una “botte di ferro” e poter utilizzare il mezzo, coperto dall’anonimato, per offendere, diffamare e umiliare la vittima. Perché l’utente si sente “in una botte di ferro”?
Pensiamo a Facebook: lo stesso team di Mark Zuckerberg, fondatore del popolare social network, ammette che circa il 9% dei profili degli utenti Facebook sono falsi. Si tratta di 83 milioni di fake users! Tra questi nomi falsi, molte sono delle sostituzioni di persona: profili creati a nome di personaggi famosi: questi profili vengono spesso utilizzati per indurre in errore le fan giornalisti: basti pensare al caso del “falso Gramellini”: una persona che si spacciava per il noto giornalista su Facebook dando appuntamento agli ignari utenti che lo contattavano persone comuni: il numero di casi di stalking virtuale sono tantissimi, e spesso si tratta di ex fidanzati che vogliono “farla pagare” alla persona che li ha lasciati. Creare un profilo con l’identità della vittima può servire a diffondere sue foto intime e mostrarle ai suoi amici oppure diffondere notizie false utilizzando le stesse generalità della vittima. E’ sostituzione di persona!
Altri profili vengono creati con nomi di fantasia per offendere le persone che vogliono “colpire” protetti dall’anonimato.
Creare un profilo con un nome di fantasia è consentito e legittimo, finché non viene creato con generalità di altre persone. Il diritto all’anonimato è da difendere, ma non la libertà di diffamare o offendere perché le conseguenze possono essere gravissime, e la giustizia non sempre è rapida, ed arriva quando il danno psicologico è già troppo grande.
Sui social network non è previsto alcun tipo di controllo delle identità (su Twitter per le persone “famose” è concesso di verificare il profilo, che viene contraddistinto da una spunta “di veridicità”, in modo da segnalare ai fan quale sia il profilo autentico e quali, invece, i fake), e in Inghilterra ben tre quarti delle vittime sono perseguitate via internet.
Dalla sua nascita ad oggi, il popolare Facebook ha collezionato una lunga serie di “presenze” nelle vicende di stalking, compresi casi finiti in tragedia, come l’omicidio di Putignano (Ba), in cui una ragazza di 22 anni, Antonella Riontino, ha perso la vita in seguito ad una feroce persecuzione agita dal fidanzatino 18enne anche e soprattutto a mezzo Facebook, nel quale possedeva più profili, anche con pseudonimi, per terrorizzare la ragazza con minacce notturne. Purtroppo si legge sempre più spesso di persone (ex partner, conoscenti, colleghi di lavoro, spasimanti rifiutati) piene di risentimento che creano profili con le generalità della vittima per diffamarla, diffondere fotografie scattate nell’intimità o confondere gli amici della stessa al fine di ottenere informazioni riservate.
La polizia postale lavora bene e costantemente su casi di cyber-stalking, furti d’identità e minacce via internet. E’ naturale domandarsi perché gli amministratori di questi siti non chiedano una verifica del profilo a seguito di diverse segnalazioni d’abuso da parte degli altri utenti del social (o di una lamentela da parte del soggetto a cui l’identità è stata “clonata”). Con questo si risolverebbe parte dei casi di cyber-stalking, in quanto i “profili falsi” utilizzati per offendere, diffamare e le clonazioni di profili/identità verrebbero sospesi e resi inoffensivi. Ed è raro che qualcuno si prenda su internet la responsabilità delle proprie offese utilizzando la sua vera identità, data la facilità di utilizzare nomi di fantasia o sostituzioni di persona.
Il social network ormai è un mondo assimilabile alla realtà ma non dovrebbe essere una grande rogna per chi vuole tutelare la propria identità e la propria persona. Spesso le persone che intendono offendere e minacciare utilizzando false generalità e si nascondono dietro pseudonimi, che non vengono verificati/sospesi in attesa di controllo nemmeno a seguito di segnalazioni al portale; è necessario rivolgersi alla polizia postale che è subissata da richieste di questo tipo e fa il possibile per agire il più velocemente possibile, anche se a volte purtroppo le conseguenze psicologiche sulle vittime sono così gravi che la morte arriva prima della giustizia.
Il cyberstalking è una delle armi nelle mani dello stalker per colpire la vittima.
Vediamo alcuni casi drammatici di cyber-stalking:
Amanda Todd: ragazzina canadese morta suicida all’età di 15 anni. La ragazzina, vittima di una mordente solitudine, cerca amici su internet, così come fanno molti adolescenti di ogni parte del globo. Un estraneo, ormai considerato amico, la convince a mostrarsi a seno nudo, fingendosi un suo coetaneo “innamorato”: inizia a minacciarla di diffondere questa immagine nel caso in cui lei si fosse rifiutata di mostrarsi in video in atteggiamenti più espliciti. La ragazza si rifiuta, e la sua foto a sedo nudo finisce ovunque: lo stalker la diffonde su Facebook “chiedendo l’amicizia” a tutti gli amici di Amanda e crea un profilo con nome e cognome della ragazza e la foto del suo seno come profilo. Questa storia distrugge la ragazzina, che finisce in un vortice di depressione, autolesionismo e alcolismo, ma tenta di ricominciare trasferendosi in un’altra città con i genitori; cambiare luogo serve a poco, perché internet è una piazza mondiale, e la diffamazione la raggiunge anche nella nuova scuola (lo stalker contatterà anche i suoi “nuovi amici”), dove i compagni di classe cominciano a chiamarla con appellativi pesanti: la ragazza, fragile e depressa, si toglie la vita. Prima di uccidersi, Amanda racconta il suo dramma in un video commovente, qui tradotto in italiano: http://youtu.be/s9tkcjiAvys
Andrea, 15 anni, Roma. Veniva chiamato “il ragazzino dai pantaloni rosa” perché aveva pubblicato alcune foto su Facebook con i vestiti che amava indossare, e con del trucco intorno agli occhi. Il ragazzino viene preso di mira con messaggi omofobi e offensivi su Facebook. Le sue foto vengono diffuse ovunque, e subisce anche un furto del suo account Facebook. Il ragazzo si è suicidato impiccandosi.
Carolina Picchio, 14 anni, Novara. Anche lei viene presa di mira dai suoi compagni di scuola che la colpiscono con insulti pesanti dal vivo e sul social network, ma internet non ha confini e queste parole vagano ovunque rendendola una vittima di un branco enorme e indefinibile. La ragazzina non riesce a fronteggiare l’umiliazione e si uccide.
Rehtaeh Parsons, 17 anni, Canada. La ragazza viene violentata a 15 anni e da quel giorno la sua vita diventa un incubo. La strada è tutta in salita, ma la ragazza tenta di risalire con dignità, finché l’ultimo affronto la spinge ad uccidersi: le foto del suo stupro sono finite su internet; la madre si rivolge alla Polizia per farle rimuovere ma le dicono che non ci sono prove sufficienti in quanto le foto non rappresentavano un atto criminale. Quelle foto riportano la ragazza a quella sofferenza atroce, e lei non regge al suo dramma reso pubblico nel web.
Le storie di cyber-stalking sono tante, e nel mondo del web, considerato al pari di quello reale, bisogna considerarle stalking a tutti gli effetti, contraddistinto da una considerazione importante: il web permette una visibilità enorme e incontrollata; un’offesa si diffonde alla velocità della luce, una foto compromettente, una volta diffusa, diventa un’arma potente contro una persona che ne subisce le conseguenze psicologiche e morali, una sostituzione di persona comporta conseguenze pesanti sulla vita reale, anche quando non riguarda personaggi famosi. A chi piacerebbe, in fin dei conti, trovarsi sul social network a sua insaputa, senza sapere che tipo di informazioni vengono diffuse con le sue generalità? Ricordiamo che molti stalker creano profili con le generalità delle vittime e li “nascondono nella ricerca” in modo da agire la diffamazione in maniera subdola senza essere immediatamente notati; in questo modo la vittima scopre molto tardi, e spesso da conoscenti, di avere un profilo Facebook pieno di contenuti compromettenti.
Tutto questo è cyber-stalking ed è un allarme sociale al pari dello stalking “tradizionale”, perché pericoloso quanto quest’ultimo, e spesso anticamera della violenza anche al di fuori dello schermo di un computer. Non si deve sottovalutare questa realtà, e le storie sopra riportate dovrebbero far riflettere sulla sua drammaticità. La giustizia deve essere il più possibile rapida, e il social network deve collaborare reagendo tempestivamente alle segnalazioni, in modo da limitare la sofferenza psicologica che causa lo stalking, e che a volte, come da noi riportato, porta la vittima ad una disperazione dalla quale è difficile uscire.
Siamo solo ad aprile e 50 persone hanno perso la vita, vittime di violenza e stalking. Sono numeri impressionanti, che dimostrano come la realtà della violenza non sia assolutamente in calo.
La mattanza conta 35 omicidi per mano di un uomo e 10 per mano di una donna: il risultato di questo atroce 2013 è di 45 gli omicidi. Agli omicidi vanno aggiunti 5 suicidi dopo gli omicidi, quindi un totale 50 persone che hanno perso la vita. Per quale motivo?
Per una separazione che non viene accettata, per un rifiuto, per le dinamiche solite dello stalking.
Chi sono le persone che perdono la vita: partner, ex partner, conoscenti e familiari. Il movente è chiaro, e ormai la cronaca riporta ogni giorno casi come questi: separazione, abbandono, rifiuto. In oltre il 50% ci sono stati chiari prodromi di stalking e violenza, eppure la spirale dell’orrore non è stata fermata in tempo, e sulle pagine dei giornali si fanno i conti con il senno di poi, con tutto quello che si sarebbe potuto fare per fermare l’assassino, ma che non è stato fatto.
Stiamo piangendo le sorti di vittime che avremmo potuto salvare. L’equipe multidisciplinare dell’Osservatorio Nazionale Stalking, dal 2002 con i dipartimenti Centro Presunte Vittime di violenza e stalking e dal 2007 con il dipartimento Centro Presunti Autori di violenza e stalking, ha potuto identificare alcune costanti nelle numerose variabili raccolte in oltre un decennio di esperienza sul campo.
COME SI AFFRONTA QUESTA EMERGENZA? NON SOLO CON LA GIUSTIZIA PUNITIVA…
L’ Osservatorio Nazionale Stalking, con un imponente lavoro svolto da volontari psicologi e psicoterapeuti, è riuscito a risocializzare 250 stalker: queste persone nel 45% dei casi hanno smesso di perseguitare la vittima, mentre nel 20% hanno raggiunto una significativa diminuzione dell’attività vessatoria. Il Centro Presunti Autori si occupa a 360° e gratuitamente del persecutore, seguendolo dal punto di vista psicologico e stroncando così la recidiva, altissima nel reato di stalking (uno stalker su tre continua a perseguitare la vittima anche dopo la denuncia, e da quel che possiamo apprendere dalla cronaca, non di rado uccide).
Oltre il 70% del campione di 250 presunti autori, uomini e donne a piede libero, agli arresti domiciliari, affidati ai servizi sociali (pene alternative) o ristretti presso una casa circondariale, risulta essere portatore di almeno un lutto non elaborato.
La non elaborazione del lutto, in questa tipologia di persone, produce una particolare sensibilità all’abbandono e una propensione al controllo nei confronti delle persone con le quali strutturano delle relazioni interpersonali particolarmente significative. Sensibilità e propensione che esplodono in una terribile e distruttiva campagna persecutoria nel momento in cui vengono “abbandonati”, a causa del “colpo di abbandono improvviso”, che procura in loro uno stato ingestibile ansia e la tendenza inarrestabile a perseguitare la persona oggetto delle loro attenzioni; si tratta di un craving, ovvero dell’impossibilità di fare a meno di cercare un contatto con l’altra persona, spesso con atteggiamenti di minaccia o di supplica, per recuperare la relazione perduta. Questa intensa pulsione a perseguitare diventa un pensiero fisso e può portare l’autore ad uccidere la persona che ha deciso di interrompere la relazione con lui.
La sola giustizia punitiva, senza un percorso di risocializzazione specifico, non può contenere questa tipologia di persone dall’agire (spesso con recidiva) la propria campagna violenta e persecutoria. Nell’arco di quattro mesi il fatto di non affrontare adeguatamente l’emergenza stalking ha lasciato sul campo 50 morti.
Per una reale prevenzione, bisogna prevedere strutture residenziali o semi residenziali in ogni Regione, e strutture provinciali tipo day hospital per le persone, uomini e donne, che mettono in atto comportamenti violenti e persecutori.
L’equipe multidisciplinare presente negli stessi centri potrà offrire una supervisione e consulenza alle forze dell’ordine, al corpo docente e non docente delle scuole e Università, agli altri operatori socio sanitari, agli uffici UEPE, alle Case Circondariali, ai Magistrati di Sorveglianza, ai P.M. e ai Giudici.
Questo protocollo circolare standardizzato viene applicato dall’equipe multidisciplinare del Centro Presunti Autori di violenza e stalking in collaborazione con le Forze dell’Ordine, Istituti di Istruzione e le Università di Roma “La Sapienza e Tor Vergata”, l’U.E.P.E. di Roma e Latina e la Casa Circondariale di Roma “Rebibbia Nuovo Complesso”.
Bisognerebbe esportare questo modello in tutte le regioni, utilizzandolo per prevenire l’impressionante numero di morti a seguito di stalking, spesso denunciato regolarmente.
Il protocollo basato sulla giustizia riparativa, quindi su percorsi di risocializzazione, sta ottenendo risultati in termini di contenimento e di recidiva di gran lunga superiore alla sola giustizia punitiva, erroneamente invocata anche da alcune categorie di addetti ai lavori! In altre parole, non basta solo “punire” lo stalker, ma è necessario lavorare sullo st