La “Montagna d’oro”, la fantomatica Golden Mountain, sembra essere una fantasia di qualche estasiato fotografo o pittore surrealista, l’appellativo di un poeta estasiato da una magica visione che vorrebbe trasmettere a chi non ha fantasia sufficiente per vedere ciò che solo a pochi è dato vedere.
Invece d’un tratto essa, la Montagna d’Oro, è apparsa a un povero profano come me, sull’autostrada Teramo – Roma, poco prima di imboccare il lungo traforo del Gran Sasso: il massiccio si ergeva maestoso, la cima oltre le poche nuvole rarefatte, a rammentare al mondo che qui si annida la meraviglia della natura, stupefacente più di quella che sa descrivere il poeta, oro più oro del metallo prezioso, visione immensa di un’immensa bellezza che, muta, sembra descrivere se stessa senza l’uso di parole.
Mi è apparso subito chiaro, in quel momento, che la leggenda di Ermes, il gigante figlio di Maja, la più bella delle Pleiadi, il quale, caduto in battaglia, qui si rifugiò e riposa per sempre, da cui l’appellativo di Gigante che dorme, era ormai fronzolo del passato.
Il Gigante non dorme affatto, anzi è pieno di vita, è termoregolatore del nostro clima, nonostante i danni arrecatigli dall’uomo e dai cataclismi naturali, ed è sorgente di vita con i suoi immensi serbatoi di acqua purissima. Anche questa a dire la verità l’uomo ha tentato di inquinare rivelando una maldestrezza che avrebbe stupito in altri tempi: oggi tutto sembra normale, anche l’anormalità, tutto viene ingoiato senza batter ciglio, velocemente; come l’imbocco nero del traforo che ingoia la mia macchina, un ombelico che porta lontano, dall’altra parte dell’orizzonte.
Pasquale F.