Tra le tante città italiane che si affacciano sull’Adriatico ce ne sono due che, anche se distanti, sono molto vicine: Ravenna e Ortona. Il confronto tra le due cittadine è interessante, poiché almeno fino agli anni ’50 non erano poi tanto diverse. Cittadine di provincia, che basavano molto della propria economia sull’agricoltura e sulla pesca.
In entrambi i luoghi, infatti, si fa il vino e l’olio: produzioni per il consumo locale, non certo per l’esportazione. Inoltre, entrambi i centri sono sempre stati dotati di un porto da cui partivano le barche dei pescatori per affrontare il mare. Piccole città, come ce ne sono tante in Italia, con una grande storia alle spalle e un futuro incerto davanti.
Poi, negli anni del secondo dopoguerra, qualcosa è cambiato e le due realtà iniziano ad allontanarsi. A Ravenna l’Agip Mineraria scopre un grosso giacimento di metano e così inizia la fortuna della città. Nella zona nasce un importante polo chimico-petrolifero e l’Eni decide che dal porto di Ravenna sarebbero partiti i suoi prodotti. Il porto si ingrossa, sorgono sempre nuove industrie legate all’indotto, affluiscono soldi. C’è lavoro, tanto. Il settore petrolchimico traina anche gli altri: l’agro-alimentare, il metallurgico, l’edilizia e il cemento, i servizi alle imprese, sempre più numerose.
Il volano delle estrazioni di idrocarburi fa volare la città di Ravenna, che oggi è diventata il primo distretto industriale nell’Oil&Gas in Italia.
Le aziende del comparto petrolifero danno occupazione a 2000 persone solo a Ravenna, senza contare l’indotto, che genera un fatturato da un miliardo di euro e dà lavoro ad altre 2500 persone. Si tratta di settori d’avanguardia: cantieristica navale, piattaforme offshore, impiantistica, oleodotti.
Ma l’industria non ha pregiudicato lo sviluppo del turismo. L’Emilia Romagna, com’è noto, è una delle Regioni con più presenze, perché ha saputo valorizzare il proprio patrimonio naturalistico, culturale, artistico e storico potenziandolo con le infrastrutture necessarie al decollo del comparto turistico.
E più a sud cosa succede? A Ortona lo sviluppo economico è poca cosa. La pagina wikipedia di Ortona non ha neanche la voce “economia”. In compenso si parla delle sue numerose feste cittadine e religiose. Ma non sarà la festa del patrono a dare lavoro a giovani e meno giovani.
Qui anche il turismo è non è degno di nota e la pesca è andata diminuendo con gli anni, man a mano che l’Adriatico veniva esaurito dalla pesca intensiva.
Eppure in questi territori il petrolio e il gas ci sono. Attualmente il Ministero dello Sviluppo Economico è subissato di richieste di ricerca. Se anche solo una parte di queste esplorazioni dovesse portare a giacimenti di idrocarburi sfruttabili, sarebbe la fine della crisi per Ortona e l’inizio di uno sviluppo economico non indifferente.
Possibile che si debba condannare un territorio alla decadenza per assecondare il volere non lungimirante delle associazioni ambientaliste? Si potrebbe – non mi stancherò mai di dirlo – utilizzare le royalties per creare infrastrutture che rilancino il territorio. Il porto di Ortona potrebbe rivivere, diventare il centro nevralgico delle attività cantieristiche e impiantistiche, dando lavoro e creando figure altamente specializzate.
Perché allora si continua a remare contro? A Ravenna ci sono riusciti, cosa manca a Ortona?
Forse ci vorrebbero solo dei politici onesti, in grado di dire la verità alla popolazione, invece di ripetere slogan No Triv per paura di perdere voti.
Diego Vitali blogger goccediverità.it