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Il caso Bussi e l’inquinamento dell’informazione

Inquina più l’inchiostro dei giornali o gli scarichi di un’industria chimica?

A fare chiarezza su questo dubbio amletico ci ha provato la Corte d’Assise di Chieti che, recentemente, si è espressa sulla cosiddetta discarica dei Veleni di Bussi, una vicenda su cui sono stati versati fiumi e fiumi d’inchiostro. Velenoso per l’appunto.
Un torrente di parole tossiche contro la compagnia che gestiva l’impianto che è straripato in occasione dell’assoluzione di 19 dirigenti e tecnici dall’accusa di disastro ambientale. Un’esondazione mediatica che è sfociata in titoloni a tutta pagina del calibro di “Vergogna” e “Ingiustizia”.
Ma la verità dov’è? Anche in questo caso, abbiamo cercato di scovarla all’interno del classico conflitto sociale che vede l’inerme popolazione soccombere sotto i colpi di una multinazionale senza scrupoli.
A fare luce sulla vicenda, un ex dipendente dello stabilimento, Pasquale Antonucci, che ci ha illustrato la vicenda dal suo punto di vista.

Per quanti anni ha lavorato presso la Montedison di Bussi? Quali mansioni svolgeva?
“Ho prestato servizio presso lo stabilimento di Bussi Officine per circa 35 anni, dal 1968 al 2002. Fui assunto come operaio di terza categoria; dopo il diploma da perito chimico conseguito da privatista, ho percorso tutta la scala gerarchica, mi sono specializzato in analisi delle acque, analisi ambientali e analisi in tracce. Ho messo a punto una infinità di metodi analitici, ho partecipato per conto della Montedison ad uno studio per il riutilizzo di acque reflue per fertirrigazione; a Nizza, nel corso di un convegno mondiale dedicato alla cromatografia ionica, ho presentato un rivoluzionario metodo per la determinazione degli anioni nelle acque iperpure. Ho insegnato laboratorio per 7 anni ad una scuola per chimici. Ho formato i dipendenti della Rives di Pescara per sostenere gli esami per la patente “Manipolazione di Gas Tossici”. Ho collaborato con la Westate (società americana) come responsabile analisi  per la messa in marcia di un impianto di depurazione per il metano. Mi fermo per non annoiare, ma questo riassunto era doveroso solo e soltanto per far capire che non sono uno sprovveduto”.

Lei afferma che le acque della Val Pescara non sono mai state inquinate: ha prove e numeri da fornire in merito?
“Purtroppo tutte le analisi che ho eseguito fino al 2002 sulle acque, sui pesci, sui sedimenti, sull’aria, sulle emissioni sulle immissioni sono sparite. Le analisi degli anni 2000 le ho richieste all’ARTA e sono tutte nella pagina facebook “Il disastro mediatico più grande d’Europa”. L’unico che le ha pubblicate sono stato io. In caso di dubbi tutte le analisi possono essere richieste tranquillamente all’ARTA. Esiste una legge sulla trasparenza, sono obbligati a fornirle”.

me giustifica l’approccio allarmistico che i media hanno avuto sulla vicenda? Perché tutto questo allarmismo da parte di ambientalisti e testate giornalistiche?
“Io non posso accusare nessuno, posso solo dire che nel 2002 la Solvay ha acquistato i terreni e la fabbrica della Montedison. L’unico terreno rimasto alla Montedison/Edison è quello dove è stata compiuta la più grande opera di mistificazione ambientale della storia Italiana, e forse d’Europa. (Il terreno che secondo i media e gruppi di sedicenti ambientalisti, ospita la discarica più grande del continente europeo)”.

Lei ha lavorato per anni alla Montedison di Bussi. Secondo lei l’industria energetica si preoccupa a sufficienza della tutela dell’ambiente o potrebbe fare di più?
“La Montedison di Bussi non era una industria energetica, era una industria chimica. Tutto è perfettibile, l’unica cosa che posso assicurare è che alla Montedison di Bussi si rispettavano sostanzialmente tutte le leggi sull’inquinamento; voglio solo ricordare che la prima legge per la tutela delle acque è del 1976 (legge Merli)”.