Mi batterò fino alla morte per raccontare a tutti il dramma della guerra”. La denuncia del colonnello dell’esercito e paraciclista Carlo Calcagni, colpito dalla sindrome dei Balcani. “Se sono ancora in vita lo devo solo grazie a Dio. Sono cattolico praticante e credo che il Signore da me voglia proprio questo: testimoniare la crudeltà della guerra. Nonostante la malattia degenerativa, Carlo Calcagni nel 2015 partecipa e vince due ori in coppa del mondo di paraciclismo.
L’INTERVISTA
Colonnello, a che età ha conosciuto la bicicletta?
– Tardi, a 27 anni. Prima praticavo arti marziali e corsa a piedi. Ogni tanto mi allenavo in mtb con i miei amici. Poi decisi di comprarmi una bici da corsa e alla prima gara trionfai davanti ai corridori più esperti.
Quante gare ha vinto?
– Oltre trecento, compreso Gran Fondo di 200 km.
All’epoca le fu proposto di correre tra i professionisti, perché ha rifiutato?
– Ho avuto ben tre proposte. Ma le ho rifiutato tutte perché avevo già un mestiere come parà dell’esercito.
Nonostante i titoli dei giornali esaltassero le sue vittorie è poi subentrata in lei la passione per il volo. Ricorda in che periodo?
– Anno 1990. Dopo aver vinto il concorso interno dell’esercito, fui transitato alla scuola per pilota di elicotteri.
Dove ha studiato?
– A Frosinone prima e a Viterbo per la specializzazione.
Si è subito distinto come primo del corso e infine istruttore, vero?
– Certo. Da pilota operativo ho conseguito voti alti. Premiato a istruttore sono stato promosso nella sede di Salerno.
In che anno ha preso servizio nell’aeronautica?
– Gennaio 1996.
E in missione nei Balcani?
– Lo stesso anno attraverso un ordine del comandante. Scelse me tra i pochi che non avevano una famiglia.
Al suo ritorno quando si è accorto di non stare più bene?
– Nel 2002. Non riuscivo più ad allenarmi e stavo male. Persino volare era diventato un peso.
Dal referto medico si è capito subito quali potevano essere le cause?
– Dopo alcuni accertamenti esce fuori il quadro clinico che i medici definiscono grave con problemi cronici e di ipotiroidismo. In pratica vengono individuati nel fegato particelle metalliche tossiche. Sarajevo all’epoca era stata bombardata da proiettili anticarro contenenti uranio impoverito che polverizzano tutto. Una volta che si respirano quelle polveri non è più possibile smaltirle. Un elicottero alza tanta polvere e noi al contrario di altri contingenti, eravamo senza protezioni.
Oltre alla malattia si sono aggiunti altri problemi?
– La malattia continua a degenerare. Ho provato a non farmi riformare. Volevo continuare ad essere un pilota. Ma nel 2007 arriva l’invalidità del 100%. E così sono fuori.
Poi cosa è accaduto?
– Nel 2010 ho iniziato una nuova cura in Inghilterra e il fisico ha reagito bene. Inoltre i medici hanno detto che fare attività fisica può aiutarmi.
In seguito la sua determinazione l’ha portata a far parte della nazionale di paraciclismo, è così?
– Si. Grazie alla convenzione fra il Comitato italiano paralimpico e il Ministero sono entrato nel corpo degli atleti paralimpici, iniziando a sognare di nuovo.
Tuttavia i medici le hanno sconsigliato di mettersi in gioco con l’agonismo. Ha mai avuto paura per questo?
– Piuttosto che stare sul letto e rincoglionirmi di psicofarmaci fino a morire lentamente, preferisco farlo in bici.
La malattia però non smette di perseguitarla, come si svolge la vita di tutti i giorni?
– A causa di una sclerosi multipla sono passato al triciclo. Inoltre trascorro le mie giornate con l’ossigeno per almeno 18 ore. Faccio ventilazione polmonare tutte le notti e assumo farmaci. Spesso mi alleno in casa. Ultimamente a causa di un’infezione ho svolto 1 ora di cyclette nella mia camera da letto con 41 di febbre.
C’è una cosa che vuole chiedere?
Si. Chiedo che i responsabili di governo dell’epoca riconoscano il fatto come una loro negligenza. Inoltre come è valso per me, desidero che il riconoscimento dell’invalidità sia riconosciuta anche ad altri commilitoni ammalati di sindrome dei Balcani.
Ha un sogno nel cassetto?
– Vincere la medaglia d’oro alle paralimpiadi di Rio 2016.
Paolo Cosenza