Questo lavoro è il frutto di una collaborazione ormai pluriennale tra il CRESA (che dal 2020 è Centro Studi dell’Agenzia per lo Sviluppo della Camera di Commercio del Gran Sasso d’Italia) e l’ISNART (Istituto Nazionale Ricerche Turistiche), società nata dal Sistema camerale per affiancare il comparto turistico italiano nella comprensione dei nuovi fenomeni e nel miglioramento del livello di competitività.
Il recente passato
Superate le due ondate di crisi (2008-2009 e 2012-2013), il sistema turistico nazionale ha avviato una fase di ripresa. In Abruzzo la ripresa è stata tardiva e la crescita media annua nel quinquennio (2015-2019) piuttosto blanda (0,8%: Italia: oltre il 3%) collocando la regione ancora circa venti punti percentuali al di sotto del livello di dieci anni prima. I dati 2008-2017 mostrano che in Abruzzo a subire le perdite più consistenti sono stati i centri urbani (-29,4%) e le aree montane (-41,5%) (Italia: rispettivamente -1,2% e -5,3%). Le località collinari, in linea con quanto si riscontra a livello medio nazionale, hanno ampliato la loro quota di quasi quindici punti percentuali rispetto a dieci anni prima ma il loro peso resta ancora piuttosto basso (Abruzzo: 2,2%; Italia: 3,7% del totale). Le località marine, che tra il 2008 e il 2017 rappresentano circa il 60% delle presenze turistiche in Abruzzo (Italia: 32%) mostrano una sostanziale stabilità confermata anche dai dati 2018-2019.
In Abruzzo, al contrario di quanto si rileva a livello medio nazionale, l’andamento 2015-2019 è declinante sia nella componente nazionale che in quella estera. Le presenze degli stranieri rappresentano nel periodo considerato poco meno del 14% del totale (Italia: 86%) con incidenze percentuali annue decrescenti. È ben evidente come congiuntura, terremoti ed eventi climatici negativi abbiano lasciato il segno.
L’anno della pandemia per il turismo in Abruzzo
L’Abruzzo ha sperimentato più fasi critiche, accentuate da varie crisi sismiche, allontanandosi progressivamente dal resto del Paese per effetto di fasi recessive più profonde e ripartenze più lente che ne hanno svilito le possibilità di riassorbire l’impatto. Per il 2020, le più recenti previsioni elaborate dalla Svimez indicano una riduzione della produzione lorda della regione di oltre l’8%, un calo in linea con quello previsto per l’intero Mezzogiorno. La diffusione del Covid-19 ha influito pesantemente sull’andamento del turismo in Abruzzo. I dati dell’Istat registrano un calo del movimento turistico nella regione pari al -34,9% degli arrivi e al -35,0% delle presenze (circa 573mila turisti e 2,163 milioni di pernottamenti in meno). È stato un calo meno pesante di quello verificatosi in Italia, dovuto al minor peso nella struttura dei flussi in Abruzzo del turismo straniero, quello che ha maggiormente risentito delle limitazioni per la pandemia.
L’andamento sia degli arrivi sia delle presenze durante l’anno ha risentito delle varie fasi della diffusione del COVID 19.
Nel bimestre prepandemico (gennaio e febbraio) l’Abruzzo, al contrario di quanto accaduto in Italia, ha registrato un lieve calo essenzialmente per gli avversi fenomeni meteorologici e la carenza di neve nelle stazioni sciistiche.
Nella prima fase della pandemia, corrispondente al trimestre da marzo a maggio, le misure di contenimento (lockdown) adottate dal Governo hanno causato un quasi completo azzeramento dei flussi turistici internazionali e nazionali. In Abruzzo il crollo è stato quasi totale: -91,8% degli arrivi e -84,9% delle presenze. (circa 276mila arrivi e circa 553mila pernottamenti in meno rispetto al 2019). I risultati della regione sono stati meno pesanti di quelli italiani a causa del minore peso della componente straniera.
La seconda fase della pandemia, comprendente il periodo estivo dall’inizio di giugno alla fine di settembre per effetto del rallentamento dei contagi e delle minori restrizioni governative, ha visto una consistente ripresa dei flussi turistici in regione. L’Abruzzo, grazie alla maggiore sua appetibilità come meta turistica, perché percepito come più sicuro per limitata numerosità dei contagi e per la sua prossimità rispetto alle località di provenienza dei maggiori flussi nazionali, ha messo a segno un sensibile recupero ma ciononostante è risultato sensibile il calo sia degli arrivi (-16,3%) che delle presenze (-28,7%) rispetto all’andamento del 2019 (Italia: rispettivamente -44,9% e -46,3%).
Nel corso della terza fase della pandemia, da inizio ottobre a fine dicembre, che ha registrato una drammatica nuova diffusione dei casi a seguito dei quali il governo è tornato a proporre aspre misure restrittive, i flussi turistici regionali hanno nuovamente registrato pesanti flessioni rispetto al corrispondente periodo del 2019 (-60,9% degli arrivi e -55,4% delle presenze).
Le previsioni
Gli scenari futuri più recenti elaborati da ISNART mostrano la persistenza di una situazione di emergenza e di forte incertezza: per la parte restante del 2021 si prevede che l’Abruzzo segnerà un ulteriore parziale recupero delle presenze italiane accompagnato tuttavia da una tendenza decrescente della componente straniera.
Cenni conclusivi
Nonostante qualche segnale di recupero prepandemia e le nuove forme di esplorazione territoriale alla ricerca di spazi aperti e di distanziamento, indotte in parte da esigenze sanitarie in parte, e da tempo, dagli effetti dei cambiamenti climatici che spingono verso l’alto quote sempre più ampie di popolazione, l’Abruzzo negli ultimi dieci anni è di fatto scomparso dai radar turistici sia nazionali che internazionali. Crisi sismica e non favorevole contesto economico possono contribuire a spiegare, in parte rilevante, il forte e progressivo declino turistico sperimentato dalla nostra regione a partire dal 2009. Il ristagno economico che caratterizza la fase più recente dello sviluppo abruzzese implica significativi effetti anche sul turismo: la minore capacità di spesa per consumi si traduce in minore spesa turistica e nel peggioramento della varietà di beni e servizi disponibili, il deterioramento della manutenzione delle infrastrutture, la riduzione degli interventi di conservazione e manutenzione del territorio si traducono in peggioramento della qualità ambientale e minore accessibilità, con evidente impatto sull’attrattività complessiva. A differenza di altre aree del Mezzogiorno, l’Abruzzo non ha fatto molti passi in avanti sotto il profilo dell’adeguamento dell’offerta (politica dei prezzi, qualità delle strutture, differenziazione tipologica) ad una domanda turistica profondamente mutata (nuovi bisogni ed interessi).
Nel corso degli anni anche l’Abruzzo ha beneficiato di interventi ingenti in ambito culturale e turistico: in base ai dati più recenti circa 230 milioni di euro è stata la spesa del settore pubblico abruzzese destinata a circa 900 progetti nelle voci “turismo” e “cultura” nei cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020. Si tratta di una delle cifre più elevate in termini assoluti e di un livello di finanziamento pro capite tra i più alti riscontrati tra le regioni italiane. A fronte di ciò, come rilevato anche dall’ultimo Piano strategico della Regione Abruzzo, i principali punti di debolezza del turismo abruzzese restano confermati e di ancora incerto superamento: cura e qualità ambientale, difficoltà (o limitatezza) dei collegamenti interni, carenza di una offerta integrata, mancanza di collegamento tra gli enti deputati, insieme alla Regione, alla promozione del territorio e tra gli operatori turistici, mancanza di destinazioni rappresentative, qualità delle risorse umane, scarsa dimensione internazionale (in particolare nelle sue aree più interne), impreparazione rispetto alle nuove forme di domanda turistica.
Gli spazi di miglioramento sono enormi. Questo probabilmente richiede di spingersi più efficacemente verso attività e forme di valutazione più incisive dell’impatto degli interventi pubblici sull’economia locale. Considerata l’elevata frammentazione e le piccole dimensioni delle risorse culturali e naturali, si tratta di uno sforzo parallelo a quello di pervenire sempre più ad un approccio territoriale integrato per promuovere e migliorare l’uso delle risorse esistenti. Altre energie andrebbero riservate al tentativo di recuperare il terreno perduto rispetto ad altre aree del paese per produrre nuovi beni e servizi per migliorare la qualità dell’offerta turistica ed aumentarne il rendimento economico.