Crisi dell’informazione teramana: l’appello per ‘impedire la deriva’

Un sistema, un’intera collettività che perde pezzi e l’appello a tutti i cittadini di Teramo e a chi, a diversi gradi, svolge un ruolo importante nell’amministrazione della cosa pubblica (parlamentari, presidente Provincia, Sindaco Teramo, Rettore Università, istituzioni, organizzazioni sociali ed economiche ed infine anche ai giornalisti). E’ quello firmato da: Silvio Araclio, Manuelita De Filippis, Enrico Di Carlo, Sandro Galantini, Gianni Gaspari, Carla Ortolani, Stefano Pallotta, Luigi Ponziani, Roberto Ricci ed Elso Simone Serpentini in merito alla “crisi dell’informazione” che sta travolgendo il teramano.

 

Teramo e la sua Provincia patiscono ormai da anni una grave diminuzione di strutture e risorse che ne menomano ruolo e rappresentatività. Questa situazione di crisi costante vede la politica, come anche le organizzazioni espressione degli interessi economici e sociali di questo territorio, scarsamente capaci di arginare l’indebolimento progressivo di un’intera collettività. Per restare a processi ancora in corso, basti pensare al sistema bancario (si vedano le relative vicende che hanno interessato la Banca Popolare di Bari subentrata senza merito alcuno alla vecchia Tercas); a quello produttivo (il riferimento alla Camera di Commercio della Provincia di Teramo è sotto gli occhi di tutti); alla cultura (si ricordi en passant la nascita di una Soprintendenza autonoma a L’Aquila alla quale, d’arbitrio e con decreti agostani, è stato accorpato il territorio teramano, considerato merce di scambio, sottraendolo per competenza alla Soprintendenza regionale storicamente risiedente a Chieti). Una emorragia che in tutta evidenza accentua il processo di impoverimento complessivo di Teramo e della sua Provincia.

E’ in questo contesto che si inserisce la preoccupante crisi dell’informazione nel Teramano con le recenti difficoltà dei quotidiani “La Città” – con la messa in cassa integrazione della gran parte dei giornalisti contrattualizzati – e “Il Centro” – con l’annunciato trasferimento della Redazione di Teramo a L’Aquila. Le decisioni assunte dalle rispettive proprietà divengono i sintomi di uno stato di agonia sempre più marcato. Le logiche aziendali accampate, quandanche legittime, non possono in alcun modo giungere a prospettare un indebolimento strutturale del sistema informativo, né possono porre in secondo piano la necessità di rispettare pienamente e in ogni senso il lavoro e le professionalità dei giornalisti, soprattutto in un periodo come questo che stiamo vivendo. La libertà di stampa necessita infatti di competenze solide che sappiano essere garanzia di equilibrio, trasparenza e rispetto del pluralismo e che sappiano porsi in un rapporto diretto con la collettività. Si tratta di elementi indispensabili per il progredire di una coscienza democratica tra i cittadini nel rispetto delle basi dello Stato di diritto. Rinunziare anche solo in piccola porzione alle prerogative dell’informazione locale (la cui funzione è diversa e tuttavia non meno importante di quella della informazione nazionale), equivale a rinunziare a porzioni più o meno cospicue di luoghi di confronto e di partecipazione dove può svolgersi pienamente la vita politica e civile di una comunità.

Le vicende dei quotidiani “La Città” e “Il Centro” non possono perciò essere derubricate a semplice fatto che interessi solo gli addetti ai lavori: esse impongono una riflessione sull’urgenza di riacquisire consapevolezza del rilievo culturale e politico che l’informazione riveste per un territorio, sia nella sua funzione testimoniale, che in quella critica.

La Città e la Provincia di Teramo, che possono vantare una economia e una società civile vivaci e robuste; che hanno espresso storicamente una dignità culturale non seconda a nessuno; che possono annoverare una Università al cui interno vivono e prosperano Facoltà e indirizzi di studio che si richiamano alla comunicazione e informazione; che possono riaffermare senza tema di smentite le importanti tradizioni del giornalismo aprutino, non intendono tollerare una deminutio che suonerebbe oltraggiosa e procurerebbe disdoro a chi se ne rendesse responsabile e a coloro che non facessero quanto è nelle loro possibilità per impedire questa deriva.

 

 

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