Teramo. “Al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare presentati al Ministero dello Sviluppo economico. Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca in terra tra cui spiccano i 22 in Abruzzo che vanta il primato nel Centro. Una situazione estremamente allarmante che non trova spazio nei vari livelli istituzionali”. Sono le parole dell’onorevole Augusto Di Stanislao, coordinatore IdV della Provincia di Teramo, che denuncia duramente una incapacità nel gestire le emergenze ambientali in Abruzzo e che da anni in Parlamento porta avanti una battaglia contro la petrolizzazione.
“Oltre alle campagne mediatiche, alle manifestazioni plateali vanno necessariamente ed inevitabilmente affiancate azioni concrete nelle sedi competenti in primo luogo il Parlamento chiedendo, per esempio, una modifica all’assurda legge che delega il governo in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche e di permessi di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma e in mare, il blocco dell’iter autorizzativo per tutte le istanze e di modificare la legislazione vigente prevedendo il divieto assoluto di ogni ulteriore installazione in tutta l’estensione del mare Adriatico di competenza nazionale e soprattutto impegnarsi affinché il Governo si faccia promotore, verso la Comunità Europea, di una nuova normativa che preveda che non vengano installate piattaforme petrolifere in mare a una distanza dalla costa inferiore minimo a 160 km, distanza applicata in altri Paesi e ritenuta misura fondamentale di sicurezza. Per le singole istanze già autorizzate, infine, c’è ancora la possibilità di inviare osservazioni di contrarietà, come previsto dalle norme europee, secondo le quali l’opinione degli enti locali è vincolante qualora questi progetti prevedano un elevato impatto ambientale. Occorre rivedere queste scelte legate alla localizzazione di reti per la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio ed intervenire altresì, nel caso, per annullare ogni tipo di decisione presa e/o da prendere circa la petrolizzazione, con la quale rischia di soccombere un’intera economia locale costruita e costituita da artigiani, piccole e medie imprese, esercizi turistici e attività commerciali e con il rischio che scompaiano precocemente tutte quelle aziende agricole che puntano sul biologico e sulla genuinità del prodotto enogastronomico. E’ evidente, dunque, che le trivellazioni non hanno alcun senso da ogni punto di vista compreso quello occupazionale. Una seria politica in linea con i recenti accordi internazionali sui cambiamenti climatici, a partire dal traguardo europeo al 2020 (20% di risparmio energetico, 20% di produzione energetica da fonti rinnovabili, 20% di riduzione emissioni di CO2), consentirebbe infatti, secondo le stime della Commissione europea, un risparmio annuo fino a 8,5 miliardi di euro. La soluzione, pertanto, è data dalle energie rinnovabili, puntare su una politica energetica e per uno sviluppo economico ecosostenibili. In Italia puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, ed in particolare su quella solare, eolica e geotermica, può rappresentare una straordinaria occasione per creare nuova occupazione e ridurre la dipendenza dalle importazioni di greggio, oltre a stimolare la ricerca e l’innovazione tecnologica. La strada da seguire è dunque quella di valorizzare le risorse naturali – sole, vento, acqua, biomasse e calore del sottosuolo – a seconda delle potenzialità locali”.