L’Aquila. Assenteismo a livelli insostenibili. I numerosi certificati di malattia pervenuti alle aziende dell’Aquilano in questi giorni di neve bloccano la produzione: le aziende che hanno riavviato o mantenuto attiva la produzione, rinunciando, con grandi sacrifici, al ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni (ormai giunto a traguardi impensabili), si vedono ricompensate con valanghe di certificati medici.
A lanciare l’allarme è il direttore di Confindustria L’Aquila, Antonio Cappelli, che aggiunge: “Nessuno nega che le malattie, in questo periodo dell’anno, possano farla da padrone ma Confindustria L’Aquila richiama i responsabili della paralisi delle imprese ad un comportamento deontologicamente corretto e all’adempimento dei propri doveri: i lavoratori, i medici, le Istituzioni preposte. L’abitudine di redigere i certificati medici quando lo stato di malattia non è tale da impedire l’attività lavorativa è un sistema ormai abusato che svuota di ogni dignità gli istituti posti specificatamente a tutela del lavoratore. Anche a causa di “leggerezze” di questo genere si è arrivati a trasformare il diritto del lavoro in un’arena nella quale si dilaniano sindacati, datori e lavoratori: certezza delle regole e responsabilità dei ruoli sono i perni intorno ai quali si gioca l’effettività della tutela. Laddove si perdono i doveri, si perdono automaticamente i diritti. Appartiene anche alla percezione comune che l’impossibilità di raggiungere il posto di lavoro non può essere definita “malattia”, pur nell’evidenza che nel III millennio una nevicata non può bloccare i mezzi di trasporto. Nel resto d’Europa non è così: non si abbandona il posto di lavoro per presunta malattia e men che meno si definisce malattia l’impossibilità di raggiungerlo. Esistono sanzioni pesanti che vanno dall’amministrativo al penale. Tra l’altro, assistiamo ad un penoso scarica barile tra gli Enti preposti alla funzionalità e sicurezza del sistema viario che ha come risultato l’impraticabilità di ogni via di transito. E’ sotto gli occhi di tutti la paralisi di questi giorni che certo si tradurrà nel prossimo futuro in buste paga sempre più instabili, e in una cassa integrazione sempre più gravosa per il sistema fiscale di tutti, assenti e presenti. A ciascuno il suo, diceva Sciascia, solo che qui “il suo” è “il nostro”: le imprese che danno lavoro e permettono alla gente di continuare a vivere dove vive – forse dove è nata – dignitosamente, e con le proprie famiglie. O vogliamo riaprire la diaspora emigratoria di tutti, figli, mamme e padri?