Cannabis per scopo terapeutico: finisce in carcere a Chieti senza cure

Chieti. Condannato per la coltivazione di cannabis a uso terapeutico, Fabrizio Pellegrini è attualmente in carcere e non può ricevere le cure, perché negli istituti di pena italiani non possono essere somministrate terapie a base di “cannabis”.

Per sopravvivere, tramite gli avvocati Vincenzo Di Nanna, segretario di Amnistia Giustizia Libertà Abruzzi (AGL) e Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, ha proposto ricorso al Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila per domandare il differimento dell’esecuzione della pena per la manifesta incompatibilità col regime penitenziario.

Pellegrini è detenuto nel carcere di Chieti perché, affetto da una grave malattia invalidante per la cui cura la “cannabis” rappresenta l’unica terapia efficace, anziché rivolgersi agli spacciatori, ha coltivato da sé la marijuana a scopo terapeutico: è stato così condannato in via definitiva e l’8 giugno 2016 tratto in arresto poiché il difensore d’ufficio non ha proposto ricorso al Tribunale di Sorveglianza entro i termini. Essendo intollerante agli altri antidolorifici, è privo di cure dal giorno dell’incarcerazione.

Di fatto, l’uomo è stato punito perché non ha fatto guadagnare la criminalità organizzata: se avesse acquistato la “cannabis” da uno spacciatore, non sarebbe stato perseguito. Si tratta di uno dei tanti casi segnalati da Rita Bernardini, candidata a Garante dei detenuti abruzzesi, che dimostra come la posizione assunta dalla Direzione Nazionale Antimafia, che si è espressa favorevolmente alla legalizzazione della “cannabis”, dovrebbe far riflettere su un vero allarme per la legalità e la giustizia.

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