Quali sono le caratteristiche di un buon pellet? Quello migliore ha una caratteristica difficilmente equivocabile.
Gli italiani, si sa, sono un popolo di risparmiatori. Ma non sempre la logica sparagnina è la miglior consigliera. È comprensibile guardare con sospetto la cicala sciacqualatrice, ma è altrettanto vero che anche la formichina risparmiosa può farsi prendere la mano. Fuor di metafora, assolutizzare il risparmio e il fattore prezzo può far prendere delle cantonate.
Mai come nella scelta del pellet preoccuparsi solo di sborsare meno soldi possibili può rivelarsi una scelta deleteria. La stagione fredda comincia a avvicinarsi e dunque è naturale iniziare a pensare a come riscaldarsi senza spendere un patrimonio. Per cui ci si potrebbe orientare verso il prodotto meno costoso disponibile sulla piazza.
Così facendo la formichina rischia però di trasformarsi, nel medio periodo, in una cicala. Un pellet scadente sul momento può sembrare una scelta vincente in termini di risparmio. Ma a lungo andare può rivelarsi ben poco lungimirante sotto tutti i punti di vista, anche economicamente.
Come riconoscere un buon pellet
Un pellet di scarsa qualità infatti può intasare la stufa e usurare la canna fumaria. Senza contare che il suo basso potere calorico ci costringerà a aumentare la potenza della stufa, facendo impennare così i consumi a dispetto del risparmio iniziale. Insomma, meglio non basarsi solo sul prezzo per procurarsi un buon pellet.
Per risparmiare davvero come prima cosa dovremo fare attenzione al tipo di legno utilizzato: che sia di faggio o di abete, occorre che il pellet sia stato fatto con legno vergine – controlliamo anche la qualità della filiera di provenienza – sottoposto solo a trattamenti di tipo meccanico, senza sabbia o composti chimici al suo interno. Attenzione anche al diametro, mai inferiore o superiore ai 6-8 mm.
Un pellet di qualità dovrebbe poi avere un buon potere calorifero, con valori compresi tra 4,5 e 4,8 kWh/kg (16,5– 17,2 MJ/kg). Importante è anche il valore dei residui fissi di cenere. Indica il grado di sporcizia rilasciata dal pellet all’interno della stufa. Più bassa la percentuale di residuo, migliore la combustione.
Da non trascurare la percentuale di umidità: meno umido sarà il pellet, più alto sarà il suo potere calorifico. In ogni caso il tasso di umidità non dovrà superare l’8%, dice Altroconsumo. Esistono poi certificazioni di qualità (controlliamo che siano presenti sul sacchetto) come la EN PLUS, che va dall’A1 del pellet più pregiato (ceneri allo 0,7%) al B del pellet più scarso (ceneri fino al 2%).
Facciamo attenzione però: il marchio EN PLUS deve accompagnarsi al numero identificativo del produttore e a due lettere che indicano il Paese di provenienza. Se mancano queste indicazioni non saremo sicuri che il pellet sia veramente in possesso della certificazione di qualità. Per essere sicuri che abbiamo acquistato un buon pellet potremo fare una specie di test casalingo.
Se c’è molta polvere di legno all’interno del sacchetto significa che il pellet tende a sgretolarsi e dunque che è di bassa qualità. Se poi la polvere è molto fine rischia di guastare le componenti elettroniche e meccaniche della stufa. Se non c’è molta polvere possiamo passare alla prova dell’acqua. Immergiamo una manciata di pellet in un bicchiere d’acqua: se il pellet va a fondo e l’acqua non si intorbidisce vuol dire che la qualità è buona.