Gli scarsi guadagni e una pressione fiscale sempre più crescente stanno mettendo in ginocchio un settore che comunque dagli inizi degli anni Settanta e sino al 2005 garantiva un’interessante economia per il benessere della città.
Il trend giuliese rispecchia l’andamento nazionale. Ogni due nuove attività avviate, ce ne sono almeno 5 che calano il sipario. La crisi ha iniziato a bussare già a fine 2005, con un aumento costante a partire dal 2008.
L’osservatorio delle categorie di settore, come Confesercenti e Confcommercio, sottolinea un altro aspetto: nel giugno del 2014 più del 35 per cento delle attività avviate 4 anni prima ha presentato istanza di cessazione. Una vera e propria mannaia per l’economia locale che oltre a far leva sulle attività commerciali, sia a posto fisso, sia ambulanti, si basa sulla pesca e con un terziario ridotto ormai ai minimi termini.
Cala inevitabilmente il fatturato e chi oggi paga un canone d’affitto di 600 euro mensili in pieno lido, non riesce più a garantire il minimo indispensabile per sé e per la propria famiglia. Quindi, di conseguenza, appare inevitabile la chiusura dell’attività. A farne le spese sono l’abbigliamento, il calzaturiero e persino qualche negozio di generi alimentari che puntava a prodotti di nicchia. Resistono i tecnologici e l’artigianato tradizionale. A pesare ulteriormente è poi il commercio ambulante abusivo e dei prodotti con marchi contraffatti.
Secondo le associazioni di categoria, oltre il 15 per cento delle attività commerciali ambulanti è abusivo. In termini economici vuol dire mancato pagamento delle tasse, dell’occupazione del suolo pubblico e giro di affari che va ad alimentare la criminalità organizzata che opera nella contraffazione.