Roseto. “Vite (A)mare – Teatro e migrazioni” è il titolo dello spettacolo, in programma domani, mercoledì 6 settembre, alle 21, nel teatro della Villa comunale di Roseto (ingresso libero).
L’iniziativa è della cooperativa Tre fontane che gestisce lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Roseto degli Abruzzi e con il patrocinio dell’amministrazione comunale. Gli attori sono i richiedenti asilo, referente del progetto è Antonella Durante.
“Vite a mare non è una pièce”, spiega il direttore artistico Riccardo Ricci, “Non ha un inizio e non ha fine. Ha solo un mentre. È un contenitore di stracci, storie, canti, testimonianze di vita che vengono dal mare. Lo scopo di questo evento non è commuovere né fare politica ma raccontare ciò che è sulla riva del nostro mare alla luce del sole”.
L’intenzione è quella di utilizzare il teatro come attività di inserimento e recupero dell’identità sociale. Pertanto lo scopo del laboratorio è stato quello di produrre uno spettacolo figlio delle testimonianze e dei racconti dei suoi protagonisti.
“Non è facile affrontare i temi dell’immigrazione”, sottolinea l’assessore alle Politiche sociali, Luciana Di Bartolomeo, “soprattutto in questi giorni. E’ però opportuno, anzi, direi fondamentale, confrontarsi con le storie di persone, uomini, donne e bambini, che hanno affrontato lunghi e tormentati viaggi. L’integrazione è importante e va supportata dalla conoscenza reciproca. Il progetto Vite (a)mare va certamente in questa direzione”.
“Il senso di questo progetto”, spiegano gli organizzatori, “nasce dalla volontà di mandare un messaggio chiaro all’opinione pubblica sulla reale entità e condizione dei rifugiati nel nostro Paese. Il laboratorio e il seguente spettacolo hanno la scopo di creare un legame fra la provincia ospitante e i fruitori del progetto. Gli operatori dello Sprar, i rifugiati, l’esperto, i tecnici, gli psicologi e gli interpreti lavorano insieme per un fine comune. Poiché il rifugiato nel momento in cui riceve ospitalità si libera solo in parte dalla sua condizione il resto del processo va fatto sul territorio. Solo accogliendo e collaborando si può riuscire a trasformare un rifugiato in un connazionale prima e in un lavoratore poi”.