“Simbolicamente la ferita non rappresenta soltanto il segno di un dolore o di una fragilità ma, ambivalente come tutti i simboli, anche un punto di forza”.
La psicologa e psicoterapeuta Vera Slepoj è convinta che sotto l’apparente autonomia ed emancipazione, le donne nascondano in realtà un profondo senso di insicurezza ed inadeguatezza che si accompagna ad un’insoddisfazione generalizzata e diffusa, proprio a causa di ferite che si portano dentro o che le vengono inflitte nel corso dell’esistenza.
Il primo sintomo dell’insicurezza femminile risiede nell’interrogativo che ognuno di noi si pone sulla propria identità: “chi sono?” Nel caso specifico delle donne, il quesito diventa: “cosa sono capace di fare?”, portandone con sé innumerevoli altri quali: “sono capace di essere una brava mamma? E una brava moglie? E un’amante seducente? E una donna in carriera?”.
A questo punto viene spontaneo chiedersi perché costruiscano la propria identità attraverso una serie di parametri diversi da quelli maschili.
L’autrice tenta di fare chiarezza in un universo così complesso come quello femminile attraverso l’analisi dei loro punti deboli e delle loro fragilità. Secondo la Slepoj, le ferite sono state e sono fonte di dolore all’interno di una logica in cui esiste un nemico, l’uomo, che ha la facoltà di infliggerle; una logica in cui la vulnerabilità femminile viene utilizzata dagli uomini per esercitare il loro potere.
Vengono passati in rassegna tutti i tipi di ferite: individuali, sociali e storiche.
Tra quelle individuali troviamo l’invidia, il senso di inferiorità, il senso di colpa e il masochismo, la seduttività e il narcisismo, la paura dell’abbandono. Quest’ultima, ad esempio, condiziona la vita di relazione, soprattutto nei confronti degli uomini. Oggi, infatti, si vanno a sommare le paure storiche relative al proprio valore, in parte ancora presenti nell’inconscio collettivo e individuale femminile, con la condizione attuale dei rapporti che prevede un grado di precarietà mai esistito dalla modernità in poi, per cui la separazione è entrata a far parte della realtà della coppia, a tutte le età, come una possibilità del suo destino. Questa precarietà va ad alimentare la paura dell’abbandono, che diventa un’eventualità sempre meno rara. L’altra ancestrale paura connessa all’abbandono è quella di venire sostituite con una donna più giovane e bella. È evidente che essa sia maggiore nelle donne rispetto agli uomini in quanto spesso, ancora oggi, il senso dell’esistenza femminile e della realizzazione è nella conquista del “grande amore”.
Nel capitolo sulle ferite sociali si parla della donna contemporanea tra mondo del lavoro e famiglia, della donna delle altre culture e delle ferite del reato ossia quelle in senso stretto, come la violenza fisica che molte sono costrette a subire tutt’oggi, la violenza psicologica, economica, sessuale, spirituale e morale.
Nel capitolo sulle ferite storiche vengono affrontate tematiche quali il mito del matriarcato, la donna greca tra misoginia e subalternità, la donna romana dall’asservimento all’emancipazione, il Medioevo e la doppia natura della donna (per un approfondimento sul tema si rimanda a https://abruzzo.cityrumors.it/rubriche/libri/i-peccati-delle-donne-nel-medioevo-di-georges-dub.html ), la trappola del codice d’amore romantico, le ambigue conquiste dell’emancipazione e i rovesci della medaglia, tra cui la difficoltosa conquista della libertà di mettere a nudo il proprio corpo senza più sensi di colpa né vergogna che però ha come contropartita la tendenza alla mercificazione.
Per finire, l’autrice passa in rassegna alcuni casi clinici che danno fondamento empirico a quanto detto in precedenza.
Bisogna sottolineare, in conclusione, che le ferite possono essere viste anche come porte, accessi al mondo interiore, occasioni per svelarne i disegni nascosti;e dunque possono essere considerate una risorsa.