Flavio e Francesco, due fratelli, due mondi diversi, eppure legati in maniera viscerale. Il romanzo inizia qui, dalla loro storia personale raccontata prima con gli occhi dell’uno e poi dell’altro.
Francesco è più giovane di dieci anni, vuole fare il musicista da grande, viaggiare, esplorare, scoprire, vuole trovare la sua casa, il suo posto nel mondo. Cerca nel viaggio la fuga dal reale, la via per salvarsi dall’appiattimento, dall’omologazione, per non diventare come suo padre, imprenditore e manager della Milano bene, uomo “tutto d’un pezzo”. Ma il vero viaggio va fatto dentro se stessi prima di tutto, non serve vagare senza meta, ed è questo che vuole fargli capire suo fratello Flavio quando gli ricorda che :
“L’appartenenza … ovunque tu vada dovrai farci i conti, potrai anche trovarti bene in un posto, la gente ti piacerà persino, per carità, ma ricordati che non ti sentirai mai uno di loro”.
E alla fine, almeno su questo punto, gli si dovrà dar ragione.
Francesco è per natura un ribelle, è contro il sistema, contro tutto ciò che è imposto, gli schemi tradizionali, le convenzioni sociali. Per questo mantiene sempre quel distacco dalla normalità, quel briciolo di sana follia che lo caratterizza sin dall’infanzia, quando le prime parole che pronunciò dopo tre anni di mutismo, furono “Io no”! La sua sana opposizione al sistema è palese:
“No, ti rincoglionisci, matematico, tutto lavora silenziosamente per il tuo rincoglionimento … puoi resistere per un po’ ma non la scampi, e allora lo sai … Voglio dire … o sai che ce l’hai nel culo e te ne fai una ragione, ma vivi male e col rimpianto, oppure non lo sai e sei contento, sei come vogliono loro, ma allora è meglio spararsi che vivere nell’inconsapevolezza del rincoglionimento!”.
Gli anni passano, Francesco diventa un uomo ma dentro è sempre il giovane sognatore di un tempo, anticonformista, fuori dalla righe, appassionato di filosofia, divoratore di libri, amante della musica. Ciò lo porta spesso a scontrarsi con il fratello Flavio, sua antitesi. Flavio è un uomo realizzato, dirige l’azienda del padre, ha uno stile di vita invidiabile, una famiglia, la sua vita sembra perfetta, eppure ciò che si vede in superficie non corrisponde quasi mai a ciò che giace in profondità.
Egli ha tutto ma non ha niente, la sua ricchezza materiale non è anche ricchezza interiore, la famiglia non gli basta a colmare i vuoti affettivi. È il classico imprenditore di successo con una doppia vita. Elisa è la sua amante. Laura, sua moglie, non gli bastava.
Ed ecco che subentrano altre due voci narranti, due diversi punti di vista che raccontano la loro parte della storia: Laura ed Elisa.
Laura è la mogliettina perfetta, ma tutto ciò che sembra perfetto nasconde sempre del marcio. Laura si comporta in maniera frivola, superficiale, ama la bella vita, la super villa in cui vive a Milano, con tanto di domestici e baby-sitter, frequenta ristoranti “in”, ha tante conoscenze “importanti”. Sembrerebbe la controparte ideale di Flavio. E forse per questo non va molto d’accordo con il cognato Francesco, lei bada tanto alla forma, lui alla sostanza. Agli occhi di Francesco, Laura incarna il sistema, tutto ciò a cui lui si è sempre opposto.
“Il sistema … Quelli che ti danno tutte le cose che hai e che non ti servono ma di cui piano piano non puoi fare a meno, cose belle che tu pensi di volere … di scegliere e invece no! Le scelgono loro per te, tu pensi di essere libero e invece sei uno schiavo, e per loro non c’è niente di meglio di uno schiavo che si sente libero, così non si ribella …”
Ma le cose non sono mai come sembrano, e anche Laura e Francesco nascondono un segreto che sarà abilmente rivelato nel corso della narrazione-confessione dei protagonisti.
Anche Elisa, l’amante di Flavio, riserva delle sorprese, da amante diventerà moglie, non di Flavio però ma del fratello Francesco, perché
“Elisa è bella come certe notti di giugno quando cambia l’aria e si sente l’estate”.
L’intreccio qui si fa più elaborato, più coinvolgente, ricco di colpi di scena, di rivelazioni più o meno inaspettate. Se all’inizio la lettura ci strappa dei sorrisi, ci diverte, ci rallegra, a un certo punto vi è una brusca cesura e il tono si fa decisamente drammatico, si esplora l’altra faccia della medaglia, la vita riserva le sue sorprese peggiori alla fine, forse perché è solo a quel punto che si è maturata la forza necessaria per fronteggiarle. Entrano in scena la malattia, la morte, l’abbandono, ma la narrazione non è mai pesante, la lettura è talmente scorrevole che si arriva troppo velocemente all’ultima pagina.
Il finale è commovente, triste e per questo realistico, le parole arrivano in profondità, ma più di tutto, se si riesce ad andare oltre le parole, è il linguaggio delle emozioni a parlare. Come direbbe l’autore:
“Il linguaggio delle emozioni va oltre le parole e si sente sulla pelle.”