La pittrice Renata Rapposelli era preoccupata per le condizioni di salute del figlio Simone Santoleri, per questo si spostò in treno da Ancona per raggiungere la casa dei famigliari a Giulianova, il 9 ottobre 2017. Dal pomeriggio di quel giorno di lei si persero le tracce fino a quando non fu trovata cadavere sulle sponde del fiume Chienti a Tolentino, oltre un mese più tardi.
È uno dei particolari emersi nel corso delle prime deposizioni testimoniali al processo in Corte d’Assise a Teramo, che vede imputati di concorso in omicidio volontario e soppressione di cadavere l’ex marito Giuseppe Santoleri e il figlio Simone della 64enne di origini teatine e che da tempo viveva ad Ancona.
I primi testimoni citati dalla pubblica accusa hanno riferito dei rapporti con la donna all’interno di un gruppo di preghiera, quello stesso dal quale partì la denuncia di scomparsa il 16 ottobre di due anni fa, quando non diede più segnali di presenza all’indomani della partenza per recarsi nell’abitazione dell’ex marito a Giulianova e dove gli investigatori ritengono che la donna sia stata uccisa.
A fissare data della morte e soprattutto il trasporto del cadavere verso le Marche, dove poi venne ritrovato, le testimonianze dei carabinieri del nucleo investigativo del reparto operativo di Ancona, chiamati a verificare tabulati e telecamere lungo il percorso che l’ex marito Giuseppe diceva di aver effettuato con la vecchia 500 per riaccompagnare la donna al Santuario di Loreto.
Il primo confronto a distanza tra accusa e difesa, con quest’ultima a confutare l’immagine dell’utilitaria immortalata da una telecamera comunale a Porto Sant’Elpidio, il 12 ottobre, ovvero tre giorni dopo l’arrivo a Giulianova e la presunta scomparsa. Il processo, al quale continua a presenziare il solo Giuseppe Santoleri, riprenderà a fine marzo, ancora con i testi dell’accusa.