Teramo. “Tornerò ad incatenarmi per protesta”. Ad annunciarlo è la signora Tina, la donna teramana che nei giorni scorsi ha protestato davanti la sede della Cooperativa artigiana “Città di Teramo”, perchè licenziata, a suo dire, in malo modo, dopo 30 anni di lavoro.
LA LETTERA
Caro Direttore, chi Le scrive è quella madre di famiglia salita agli onori della cronaca a Teramo giovedì 4 aprile u.s. nel tentativo di recuperare dignità e diritti negati. Subire una grave ingiustizia e incatenarsi per protesta ha un costo umano altissimo, e occorre solo provare per comprendere. Un trauma forte per una persona semplice e riservata quale sono e mi reputo. Tuttavia, cosa resta da fare quando ogni giorno fai i conti con l’indifferenza? Quando invochi un atto di giustizia che non arriva? Quando, con una decisione immotivata e illegale, ti viene improvvisamente tolto il posto di lavoro, poi- calpestando ogni norma più elementare- assegnato a una nuova assunta? L’unica strada è quella suggerita dalla disperazione e dallo sconforto. Ed è così che ho deciso di andare davanti alla sede della Confartigianato e della Cooperativa artigiana di garanzia “Città di Teramo e provincia”- ex datori di lavoro-, per far sentire la mia voce di protesta, incatenandomi, con tutte le poche forze che mi restano. Una protesta che avrei proseguito, se familiari e parenti non mi avessero convinta a desistere. Né so cosa fare ancora per farmi ascoltare. Sarò costretta a incatenarmi di nuovo per ottenere finalmente il riconoscimento dei miei diritti e il risarcimento del danno da chi vorrebbe- con l’arbitrio e la prepotenza- cancellare norme, diritti e leggi. Dopo trent’anni ho perso il lavoro senza giustificato motivo,seguendo a mio danno una procedura illegittima e illegale. Ma esiste o no chi tutela una lavoratrice, una madre, una cittadina? Mi hanno detto che la Giustizia ha il suo passo e le sue lentezze. C’è da attendere (ma quanto tempo ancora?), mentre bisogni e problemi della mia famiglia non possono attendere all’infinito. Anzi, la mia situazione si è ulteriormente aggravata in questa lunga attesa per essere reintegrata nel mio lavoro, che ho svolto per tanti anni con attaccamento e serietà, come dalle numerose testimonianze e attestati. Tuttavia, il mio ex datore di lavoro continua a negarmi- oltre agli ultimi stipendi (4000 € circa)- persino i diritti di fine rapporto. Mezzi più che mai necessari a una persona nelle mie condizioni, che dopo aver subito un licenziamento infondato e capzioso, si trova improvvisamente ridotta sul lastrico. Disoccupata con tre figli da mantenere e un marito sottoposto a dialisi. Ho già avviato due procedimenti giudiziari contro il responsabile della Cooperativa, sig. Luciano Di Marzio. Purtroppo, mi trovo contro un personaggio che ha un modo tutto suo di comportarsi e, calpestando impunemente ogni norma e diritto, riesce a negarmi persino le spettanze maturate. Il mio legale, inoltre, ha contestato il mio licenziamento sulla base di elementi e prove inoppugnabili. Aspetto che la giustizia faccia il suo corso, ma non basta: ho anche urgenza di avere subito gli stipendi non corrisposti, oltre alla liquidazione maturata, per far fronte ad impellenti necessità personali e di famiglia. Chiedo forse troppo? In questi giorni le pagine dei giornali sono piene di storie di miseria e sconforto, sopraffazioni e abusi. Da donna lavoratrice e madre di famiglia vorrei sapere se esiste ancora chi controlla e fa rispettare le leggi e i diritti più sacrosanti. Vorrei che qualcuno mi dicesse, in tempi brevi, se certi comportamenti sono tollerabili e ammissibili. Se non siano piuttosto da censurare e punire, in difesa dei più deboli. Prima che sia troppo tardi. Prima che la disperazione non finisca per essere portatrice di atti irreparabili. Come, sempre più spesso, leggiamo nelle cronache di questi giorni.
Grazie per l’ospitalità e l’attenzione, caro Direttore, con i più cordiali saluti.
Tina Verani, Teramo
(mamma lavoratrice in attesa di giustizia)