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Progetto Maia: una casa rifugio per le donne vittime di violenza

Sono di nazionalità italiana, si rivolgono a fatica ai centri di ascolto e per la gran parte subiscono violenza fisica dal coniuge o dal convivente. Unico punto in comune: sono donne. È la fotografia di un fenomeno, purtroppo, in costante crescita come quello della violenza di genere che in Abruzzo regala il triste primato alle italiane.

Contrariamente a quelli che sono i luoghi comuni, le vittime dell’orco sono le donne di casa nostra (nel 76,9 per cento dei casi) e subiscono violenza fisica (nel 32,8 per cento dei casi) dall’uomo che amano (nel 60,9 per cento dei casi). Non è semplice per loro uscire da questo vortice: l’avvicinamenti ai centri anti-violenza avviene molto gradualmente e sta alla bravura degli operatori capire e dare i giusti tempi che possano permettere alla vittima di lasciarsi andare e di fidarsi di chi ha di fronte.

Resta un dato sconvolgente: solo l’1,6 per cento delle donne denuncia subito la violenza subita. A partire dal prossimo anno, però, le donne abruzzesi vittime della brutalità potranno contare su un nuovo sostegno.

Si tratta del progetto Maia, la prima casa rifugio interprovinciale presente in Abruzzo, che sarà realizzata a Giulianova, in un posto rigorosamente top secret, e potrà diventare realtà grazie ad un finanziamento europeo di 400mila euro, che vede come ente capofila la Provincia di Teramo ed un vasto partenariato composto dai Comuni di Teramo, Pescara e Chieti. Un’iniziativa che gode, inoltre, del sostegno della presidenza della Regione Abruzzo, della Consigliera di Parità Regionale, della Provincia di Chieti e delle Asl di Pescara e Teramo.

Il progetto è rivolto a quelle donne, italiane e straniere, che hanno bisogno di un rifugio temporaneo, perché la loro vita è messa a rischio dalla cieca violenza di un uomo che proprio non si rassegna a considerarle persone piuttosto che oggetti. Eppure, per queste donne, si fa ancora troppo poco. Basti leggere il trend dei finanziamenti regionali, che negli ultimi anni hanno subito un calo drastico.

“Prevenire la violenza, prendere in carico le donne, realizzare case rifugio per allontanarle in caso di pericolo, provvedere al loro reinserimento sociale e lavorativo. Questo è un percorso efficace” commenta la consigliera regionale alle Pari Opportunità, Letizia Marinelli. “Per questo è importante modificare la legge regionale sui centri antiviolenza, per garantire più qualità e più trasparenza. Ma ad oggi, ci sono ancora tante divisioni. Bisogna fare rete e togliere ogni sorta di mania di protagonismo”.

D’altra parte, come testimonia lo stesso assessore provinciale alle Politiche Sociali, Renato Rasicci, “molti si riempiono la bocca di sociale, ma poi all’atto pratico non fanno nulla. Basti pensare che i volontari del Centro La Fenice percepiscono 300 euro al mese. Non è pensabile una cosa del genere. Insieme al Prefetto, abbiamo inviato una lettera ai Comuni per chiedere un contributo da destinare ai centri anti violenza. Al momento, solo Montorio ha annunciato lo stanziamento di 1500 euro”.

 

Marina Serra