Il lavoro dimostra che l’acido perfluoroottanoico (PFOA) è in grado di indurre danno epatico a concentrazioni sotto la soglia di rilevabilità. Questo elemento è un tensioattivo-emulsionante utilizzato nell’impermeabilizzazione di tessuti, nelle schiume estinguenti, nei rivestimenti di pentole antiaderenti, ed è tra gli inquinanti organici persistenti (POPs) emergenti, in quanto esercita un’azione potenzialmente cancerogena nel lungo periodo anche a concentrazioni ambientali estremamente basse.
I risultati di questa sperimentazione, dunque, suggeriscono di rivedere l’approccio al monitoraggio ambientale della sostanza, attualmente orientata prevalentemente al suo rilievo analitico nei tessuti degli organismi.
“Nel corso dello studio”, ha spiegato Maurizio Manera, “venti carpe sono state esposte sperimentalmente a due concentrazioni di PFOA, di cui una di rilevanza ambientale. Nonostante in quest’ultimo gruppo la concentrazione epatica di PFOA fosse sotto la soglia di rilevabilità della metodica analitica utilizzata erano comunque rilevabili, in maniera obiettiva, significative alterazioni morfologiche del parenchima epatico rispetto a dieci carpe di controllo”.
I risultati di questa e di altre ricerche innovative nell’ambito della patologia ambientale e tossicologica, del biomonitoraggio ambientale e nell’analisi di immagine, condotte da Maurizio Manera saranno discusse nei corsi Biomarcatori nel monitoraggio ambientale e Analisi di immagine in istopatologia, entrambi del Corso di studi in Biotecnologie, in un’ottica di trasferimento dello stato dell’arte della ricerca nella quotidiana attività didattica universitaria.
Link dell’articolo: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1470160X17302479