No alle attenuanti generiche per Salvatore Parolisi, l’ex caporalmaggiore dell’Esercito condannato in via definitiva a 20 anni di reclusione per l’omicidio della moglie Melania Rea.
La prima sezione penale della Cassazione, con una sentenza depositata oggi, spiega perche’, il 13 giugno scorso, ha confermato il verdetto emesso in sede di appello-bis dalla Corte d’assise d’appello di Perugia.
“I riferimenti svolti dalla sentenza impugnata alla doppiezza e alla falsita’ del comportamento dell’imputato nei confronti sia della moglie (a suo tempo rassicurata circa la cessazione della relazione extraconiugale, relazione invece proseguita”, sia dell’amante “alla quale aveva rappresentato l’avvenuta fine del matrimonio con la promessa di recarsi da lei e di presentarsi ai suoi genitori dopo aver definitivamente lasciato la moglie”, sono, scrive la Suprema Corte, “funzionali” a dar conto del fatto che “la situazione creatasi nel rapporto dell’imputato con le due donne era tale da costituire ‘l’humus psicologico per lo scatenamento della sua furia e, propiziato dal fatto che la povera vittima era stata avvertita come un fastidioso ostacolo e come un pericolo’ per la sua carriera”.
I giudici di ‘Palazzaccio’, osservano che “lungi dall’indulgere in considerazioni moraleggianti”, i riferimenti che la Corte umbra fa alla “doppiezza e alla falsita’ del comportamento dell’imputato danno corpo ad argomentazioni immuni da vizi logici, tese ad escludere che la connotazione dell’elemento psicologico dell’omicidio possa assumere la valenza invocata dalla difesa dell’imputato relative all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e, dunque,alla meritevolezza dell’adeguamento della pena alle peculiari e non condificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto”.