Sant’Egidio alla Vibrata. False attestazioni per favorire il flusso in Italia di cittadini extracomunitari, a carico di ignari imprenditori ed artigiani, il tutto dietro pagamento da parte degli immigrati di lauti compensi. Questa mattina, in esecuzione di tre ordini di custodia cautelari firmati dal gip del tribunale di Teramo, Giovanni De Renzis (che ha accolto le richieste del sostituto procuratore Stefano Giovagnoni), i carabinieri della stazione di Sant’Egidio hanno arrestato tre persone, due consulenti del lavoro di Civitella del Tronto e un cittadino del Bangladesh. I due professionisti (Francesco Aquilani, 61 anni e Roberto Di Francesco, 62 anni), titolari di studi commerciali a Sant’Egidio e a Teramo e il cittadino del Bangladesh (Kabil Mohammad di 32 anni, residente ad Alba Adriatica, ma da qualche tempo domiciliato a Terni) sono accusati di concorso in favoreggiamento all’immigrazione clandestina finalizzata all’ingiusto profitto e falso ideologico. Le misure cautelari, eseguite questa mattina all’alba, sono il frutto di una lunga e delicata indagine, avviata quasi dieci mesi fa, compiuta dai carabinieri della stazione di Sant’Egidio, diretti dal maresciallo Mario De Nicola in collaborazione con gli uomini del nucleo ispettorato del lavoro (in servizio presso la direzione provinciale del lavoro), guidati dal maresciallo Vincenzo Maselli, sotto il coordinamento del capitano Pompeo Quagliozzi, comandante della compagnia di Alba Adriatica. Nella stessa indagine è coinvolta anche un’impiegata teramana, D.A. di 30anni, alle dipendenze di uno dei due professionisti, che durante l’inchiesta ha avuto un atteggiamento collaborativo.
Come nasce l’indagine. In tema di immigrazione clandestina, nei mesi scorsi, i carabinieri della stazione di Sant’Egidio avevano portato alla luce un giro di false regolarizzazioni di collaboratrici domestiche, che presenta dei contatti con questa inchiesta. Tutto è nato in maniera per certi versi casuale, visto che un artigiano di Sant’Egidio ha raccontato ai carabinieri di essere stato convocato dai dirigenti dello Sportello Unico, scoprendo suo malgrado di avere avviato pratiche per regolarizzare 17 extracomunitari. I carabinieri hanno immediatamente fiutato che sotto quella vicenda potesse nascondersi qualcosa di più grosso. Nel corso dell’indagine precedente, infatti, era stato coinvolto anche uno dei due ragionieri commercialisti arrestati questa mattina (Francesco Aquilani) e dall’esame della memoria del suo pc sono emerse 250 pratiche per flussi di cittadini stranieri). L’inchiesta ha immediatamente subito una brusca accelerazione, e i militari hanno verificato l’esistenza di una serie di procedure fittizie, utili per garantire la regolarizzazione di stranieri in Italia, che dietro il pagamento di compensi (si parla di cifre tra i 7mila e i 10 mila euro per ogni pratica), ottenevano la regolarizzazione. Le varie procedure erano intestate ad ignari imprenditori ed artigiani della zona, una trentina circa, che pare fossero all’oscuro di tutto. Un ruolo all’interno del sistema lo recitava anche il cittadino del Bangladesh, che era il referente dei due commercialisti per fornire nominativi di persone da regolarizzare, che poi in realtà erano coloro che fruivano dei flussi dietro il pagamento di denaro.
Gli sviluppi dell’inchiesta. Nel corso degli ultimi mesi, i carabinieri hanno effettuato delle perquisizioni negli studi commerciali dei due consulenti del lavoro, dove hanno acquisito materiale probatorio interessante. Fondamentale è stata anche la collaborazione della dipendente teramana, che è stata semplicemente denunciata, che ha raccontato alcuni sotterfugi utilizzati per evitare che gli ignari clienti (che ufficialmente chiedevano la regolarizzazione di stranieri) si accorgessero di quali pratiche venivano perfezionate alle loro spalle. Sono state ascoltate anche altre persone, in qualche modo coinvolte nelle false regolarizzazioni, poi tutti i riscontri dell’indagine sono stati rimessi alla procura. I due consulenti del lavoro e il “gancio” del Bangladesh sono stati prelevati nelle rispettive abitazioni e poi rinchiusi nel carcere di Castrogno, a disposizione della magistratura.