Il De Profundis della Banca di Teramo è suonato. A vent’anni dalla sua inaugurazione, è arrivato il capolinea per una delle istituzioni economiche cittadine più importanti, che ha avuto un epilogo niente affatto mirabile, con la fusione per incorporazione con la Banca di credito cooperativo di Castiglione Messer Raimondo e Pianella.
Quasi dieci milioni di euro di debito, quote sociali ridotte al 40% con il niente affatto velato invito per i soci a lasciare le loro quote e impossibilità per i soci di ricoprire ruoli di vertice negli organismi sociali per i prossimi sei anni. Queste le condizioni di sopravvivenza. Prendere o lasciare. Sebbene il passaggio non sia stato affatto indolore e privo di scontri nell’assemblea dei soci.
La Bcc di Castiglione Messer Raimondo potrà contare anche sul sostanzioso contributo del Fondo di garanzia del credito cooperativo, riuscendo in un’impresa che sa tanto del topolino che mangia l’elefante.
La città capoluogo non fa di certo bella figura, così come la govenrance della Banca di Teramo la cui gestione si è dimostrata, soprattutto negli ultimi anni, a dir poco disastrosa. Ma nonostante i segnali ci fossero tutti, in pochi hanno avuto il coraggio di prenderne le difese, come se si vivesse una sorta di rassegnazione. Dimenticando anche quanto la Banca di Teramo abbia fatto per il territorio, con i finanziamenti alle innumerevoli attività culturali che hanno avuto nel tempo, grazie anche all’appoggio del fondatore Antonio Tancredi, il suo sostegno.
Per la città di Teramo, un altro pezzo di storia, seppur recente, che cessa di vivere.