Bruxelles%2C+Jessica%3A+la+studentessa+di+Campli+%E2%80%9Csalvata%E2%80%9D+da+un+carica+batterie%3A+il+racconto
abruzzocityrumorsit
/cronaca/cronaca-teramo/213217-bruxelles-jessica-la-studentessa-campli-salvata-un-carica-batterie-racconto.html/amp/

Bruxelles, Jessica: la studentessa di Campli “salvata” da un carica batterie: il racconto

Dimentica il caricabatteria del cellulare. Torna indietro, a casa, a prenderlo. Un contrattempo, in apparenza banale.

 

 

Un cambio di programma, invece del metro sale sul bus. E questo, forse, potrebbe averle salvato la vita. O meglio non è salita sul metro della morte. Jessica Nguyen, ha 22 anni, italo-vietnamita (madre italiana e padre vietnamita) che ha vissuto per 13 anni a Garrufo di Sant’ Omero e poi fino a 19 anni e mezzo a S.Onofrio di Campli, (dove vivono ancora i suoi genitori). Jessica da due anni e mezzo abita nel centro di Bruxelles (a soli 2 km dal famigerato quartiere di Molenbeek) dove frequenta la facoltà di Giurisprudenza alla Universitè Libre de Bruxelles. “Sono uscita di casa per andare a lezione” racconta, ” e avrei dovuto prendere la metro, proprio quella che sarebbe transitata alle 9.10 a Maelbeek, il treno dell’attentato. Ma appena fuori mi sono accorta di aver dimenticato il carica batteria del telefono a casa, quindi, cosa che non faccio quando vado di fretta, sono tornata a riprendere il carica batteria. Uscita di casa, invio un messaggio di buongiorno alla mia famiglia, ed è lì che mia madre, preoccupata, mi chiede se sapessi qualcosa dell’esplosione all’aeroporto di Zaventem, ma essendo di fretta non avevo guardato il telegiornale. Quindi mentre mi dirigevo verso i mezzi di trasporto, con gli occhi fissi sul display del telefono, incredula alla parole di mia mamma e pensando che non fosse successo nulla, perché non volevo proprio crederci, controllo il tabellone degli orari del bus e della metro. Fortunatamente essendo di fretta ho optato per il bus, altrimenti sarei salita anch’io su quel treno”.

Il racconto di Jessica, a distanza di un giorno, è ancora carico di emozione per quello che ha vissuto.

 

“ Una volta salita sul bus”, dice, “ mi rendo conto di ciò che è successo veramente. Accanto a me vedo molte altre persone attaccate al loro cellulare, sicuramente per chiamare i loro familiari o per guardare le notizie in tempo reale. Scendo dal bus verso le 9:30 e vedo molte pattuglie di polizia impazzite a sirene spiegate , ambulanze. Ero ancora ignara della seconda esplosione avvenuta poco prima nella fermata della metro di Maelbeek. Arrivata all’università vengo a sapere tramite il gruppo su Fb della mia facoltà, che i corsi della giornata erano stati annullati. Mentre mi dirigevo verso la fermata dell’autobus ho notato che chiunque camminava con lo sguardo fisso sul cellulare, chi cercava di fare chiamate, ma le linee telefoniche erano già intasate, degli studenti che dicevano che l’università sarebbe stata evacuata. A maggior ragione decido di tornare subito a casa”.

Nel frattempo, Jessica viene “tempestata” da messaggi: dai familiari e dai amici che non sentiva da tempo. Tutti a chiedergli come sta.

“Arrivo alla fermata dell’autobus”, racconta, “  e vedo altre persone che come me, si domandano se passerà o no il bus. Sempre con il telefono in mano, consulto l’applicazione per i mezzi di trasporto e mi accorgo che i trasporti sono tutti bloccati. Riprovo a chiamare il mio ragazzo e mia cugina, inutilmente perché le linee sono intasate.  Si poteva comunicare solo tramite Facebook, Whatsapp: solo chi aveva internet al telefono poteva sentire i propri cari e amici. Impossibile chiamare un taxi a causa delle linee intasate. In più il mio telefono, che stavo usando incessantemente da quando ero uscita di casa, si stava scaricando. Il  mio ragazzo che mi domandava preoccupato come sarei rientrata a casa, la mia famiglia preoccupata e che seguiva il telegiornale in Italia, continuava a farmi delle domande.

A quel punto la studentessa decide di tornare indietro, verso l’Università.

“Fortunatamente avevo preso con me il caricatore”, dice ancora, “ e quindi torno subito all’università, impaziente di trovare una soluzione per poter tornare a casa. Finalmente riesco a contattare un’amica che abita vicino all’università e che avrebbe potuto riaccompagnarmi a casa in macchina. Chiamo il mio ragazzo che sarebbe dovuto andare al lavoro e avrebbe dovuto prendere la metro (dove c’è stata l’esplosione) alle 9:30. Anche lui mi spiega per telefono che tutti i mezzi sono bloccati, che era andato nella stazione della metro e che c’era tantissima gente ad aspettare che passasse. Mi dice che all’improvviso sente un uomo urlare “uscite, uscite tutti!!” , e un altro” la metro non passa più!” La notizia della seconda esplosione non credo fosse stata ancora diffusa, o perlomeno solo in pochi erano a conoscenza di ciò che era accaduto solo 20 minuti prima. Addirittura c’era gente che non sapeva nemmeno che c’era stato un attentato alle 8 all’aeroporto di Zaventem e che quindi non capiva cosa stesse succedendo, perché le metro non passavano, il perché delle sirene incessanti.  Riesco finalmente a tornare a casa verso mezzogiorno. Per fortuna avevo preso il carica batteria ieri mattina! Per fortuna sono tornata a riprenderlo”.

Dopo varie peripezie, la studentessa italo-vietnamita riesce a tornare a casa.

“ Accendo subito la tv e ovviamente guardo il telegiornale”, dice, “ cercando di ricostruire il puzzle tra dichiarazioni e il triste bilancio delle vittime, e solo lì vengo a sapere della seconda esplosione della metro. Non posso crederci: l’esplosione è avvenuta alle 9:11, nella metro che avrei preso se non avessi scelto di prendere il bus alle 9 (che fortunatamente passava dopo pochi minuti di attesa e quindi solo per questo motivo non ho preso quella metro) Mi vengono i brividi…e pensare che anche il mio ragazzo avrebbe dovuto prendere quella metro poco dopo, alle 9:30…. Penso che sia stato in quel momento che ho davvero avuto paura. Che ho sentito che non siamo al sicuro, che d’ora in poi anche per andare al lavoro, all’università, insomma per qualsiasi impegno non siamo più al sicuro. La mia università resta aperta, mantiene i corsi, i professorini dicono che venire a fare lezione è un atto di libertà e di speranza. È vero, il terrorismo vuole toglierci la libertà, non possiamo soccombere al loro volere. Bisogna tornare a vivere, ma non torneremo più a vivere come prima, tranquilli. Adesso ogni volta che bisognerà prendere un mezzo di trasporto, ogni volta che andremo in aeroporto, ad un concerto avremo addosso quella sensazione di angoscia, di inquietudine”.