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Teramo, l’UDU: “La sede distaccata di Giurisprudenza non serve”

Teramo. Sulla querelle tra Università e Comune di Teramo,  è intervenuto oggi Andrea Core dell’esecutivo nazionale dell’UDU.

“La comunità teramana tutta, politica e non, ha la grave responsabilità di non aver saputo valorizzare l’Ateneo, sia per l’apporto che poteva dare all’economia del territorio sia per la crescita culturale e non solo che avrebbe dovuto apportare – ha affermato Core – Gli studenti sono stati percepiti troppo spesso come un corpo estraneo e non come un valore aggiunto, finendo con l’essere eccessivamente marginalizzati dal contesto cittadino. Ci si sta interessando all’Ateneo solo nel momento in cui c’è sempre più forte il rischio di perderlo”.

E poi la denuncia: “Ad oggi lo stato dell’arte è che l’UniTe ha subito negli anni una progressiva diminuzione degli iscritti, troppo a lungo nascosta dalla Governance di Ateneo dietro falsi numeri, dati prontamente denunciati dall’UDU Teramo come non veritieri: oggi ci troviamo ad una soglia “borderline” di 6000 iscritti circa, che permette una assai difficile sopravvivenza nel sistema universitario pubblico. Con uno sguardo più ampio che guardi a tutto il sistema universitario abruzzese, è evidente come, a causa del peggiorare delle condizioni economiche e della drastica diminuzione di iscritti ai 3 atenei. La Regione Abruzzo non può più “permettersi” tre università e quindi ben venga una rivisitazione del sistema universitario regionale che guardi ad un modello di federazione”.

E sulla questione Giurisprudenza: “Esiste già una succursale ad Avezzano ed immaginare tre corsi a Teramo, Pescara e Avezzano è surreale. È necessario rivedere, appunto, il sistema nel suo complesso. Tenendo ben presente come Teramo abbia il vantaggio di avere cinque facoltà uniche in Abruzzo e che quindi dovrebbero essere preservate. È prioritario, però, che ogni processo che vada ad interessare il mondo accademico abruzzese veda coinvolti gli studenti ad ogni livello possibile: è impossibile fare passi in avanti prescindendo da una vera discussione con chi vive le università quotidianamente”.