Esplosione metanodotto, a Mutignano (Pineto) al momento solo desolazione

A due settimane dall’esplosione del metanodotto della Snam, l’area resta sotto sequestro su disposizione della Procura di Teramo. Le indagini, affidate al Pubblico Ministero Silvia Scamurra, sono solo all’inizio. Da Roma sono in attesa che il gruppo speciale dei Vigili del Fuoco arrivi sul posto per le perizie programmate e necessarie per cercare di capire i motivi per cui intorno alle 7 del mattino dello scorso 6 marzo la condotta improvvisamente esplose. A distanza di 15 giorni, la zona appare come desolata, dando l’idea che lì sia caduta una bomba.

Due case completamente distrutte, una parzialmente danneggiata ma al momento disabitata perché presenta lesioni alla facciata e agli infissi causate dal forte calore sprigionato quella mattina dalle fiamme. Restano un paio di carcasse di auto nel piccolo piazzale e un cane a guardia del fabbricato, scampato al rogo in cui morirono alcuni animali da cortile, oltre a tre cani.

I proprietari delle abitazioni danneggiate o distrutte sono ospiti da familiari, in attesa che i periti di parte e quelli nominati dalla compagnia assicuratrice della Snam facciano tutti gli accertamenti per avviare la pratica del risarcimento del danno che al momento sembra ammontare complessivamente a circa 600mila euro. Le fiamme quella mattina hanno distrutto anche un vigneto, alcuni ulivi, un albero secolare che costeggia la stradina brecciata, e altri arbusti che si trovavano ad oltre 500metri dall’esplosione.

Il punto in cui il metanodotto si è squarciato è stato picchettato. Gli ingegneri della società di fornitura del gas hanno creato un bypass ripristinando dopo 4 giorni l’erogazione del metano. L’Enel ha installato un generatore e piazzato un traliccio provvisorio per assicurare elettricità alle abitazioni del circondario, in attesa di un intervento più completo che potrà essere eseguito solo dopo le perizie.

Sulle cause del disastro resta la convinzione da parte di molti che ci sia stato uno smottamento in quel punto, determinando la rottura della condotta che doveva trovarsi ad un profondità minima di un metro e mezzo ma che secondo gli abitanti della zona fosse più in superficie. L’attrito del metallo avrebbe poi causato la scintilla che ha innescato il tutto.

Che la collina abbia un leggero movimento franoso appare fuori discussione in quanto sul terreno, più a monte, sono evidenti i segni degli smottamenti. Ma saranno i periti a stabilire se siano stati la causa dell’esplosione di quel 6 marzo.

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