“A causa di un fenomeno naturale noto ma abbastanza raro in Italia”, spiega Augusto De Sanctis della Soa, “da una zona di sorgenti sulfuree escono idrocarburi che si riversano nelle acque del torrente Arolle che a sua volta si getta nel Fiume Pescara dopo alcuni chilometri. In occasione di periodi di precipitazioni intense la fuoriuscita diventa addirittura copiosa, tanto che esistono notizie risalenti al medioevo relative alla raccolta degli idrocarburi da parte della popolazione con metodi rudimentali”
“Tra il 1860 e il 1870”, ricostruisce l’ambientalista, “l’area fu data in concessione a diverse aziende che avviarono i primi interventi di sfruttamento industriale degli idrocarburi, con la realizzazione di vasche di raccolta per decantazione (i cui resti sono ancora visibili) e la perforazione di pozzi, addirittura a soli 5 anni di distanza dallo scavo del primo pozzo negli Stati Uniti. Le strutture furono presto abbandonate per il rapido declinare della produzione e fino al 1930 ci furono solo alcuni tentativi poco fruttuosi per riattivare le operazioni di sfruttamento. Solo dagli anni ’30 e fino al 1958 Agip scavò con maggiore intensità una trentina di pozzi, alcuni dei quali risultarono produttivi. Anche qui l’abbandono arrivò presto.
“Da allora”, prosegue De Sanctis, “saltuariamente, ci fu interesse per la vicenda solo dal punto di vista della storia dello sfruttamento degli idrocarburi, peraltro con interventi rimasti sostanzialmente tra gli addetti ai lavori come geologi e storici: le analisi delle acque da parte dell’Arta tra il 2008 e il 2009 presentavano valori elevatissimi di idrocarburi (anche oltre 4.000 microgrammi/litro), con il rilascio in acqua di sostanze pericolose quali benzene, toluene, etilbenzene, trimetilbenzene. Nel 2015 il Forum H2O, pur senza riferirsi specificatamente a questa situazione, scrisse ai ministeri e agli enti di tutte le regioni, Abruzzo e ARTA compresi, chiedendo lumi sui monitoraggi dei 7.000 pozzi di idrocarburi abbandonati in Italia, considerata l’esistenza di numerose pubblicazioni scientifiche che accertano la contaminazione delle acque sotterranee e superficiali a causa del cattivo isolamento dei pozzi, soprattutto se abbandonati. Non ci fu risposta.
Il 30 aprile scorso la Stazione Ornitologica Abruzzese Onlus, “tenuto conto anche di alcuni dati di presenza di idrocarburi nelle acque e nei sedimenti del Fiume Pescara”, ha scritto una dettagliata lettera a tutti gli enti a vario titolo competenti, dai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico alla regione, dai Carabinieri-Forestali ai comuni, per chiedere un intervento per: “adottare misure di mitigazione del fenomeno di dispersione degli idrocarburi nelle acque superficiali; monitorare le acque sotterranee per valutare l’eventuale presenza di idrocarburi; verificare attentamente se sussiste un ruolo nella dispersione degli idrocarburi nelle acque dei molteplici interventi antropici, quali scavi, pozzi, serbatoi, vasche realizzati nell’area che potrebbero aver modificato sia le condizioni di rilascio sia quelle ambientali delle aree immediatamente circostanti i manufatti; verificare se le acque superficiali/sotterranee sono utilizzate in modalità tali da poter costituire una fonte di esposizione, diretta o indiretta, per l’uomo agli idrocarburi; studiare attentamente gli eventuali effetti di tale dispersione sulla qualità di acqua e sedimenti lungo il Fiume Pescara, anche per assegnare con certezza la provenienza delle contaminazioni riscontrate”.