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Cronaca Pescara

Rigopiano, familiari delle vittime aggrediti dall’ex sindaco di Farindola

Giampaolo Matrone trova la forza di denunciare le inaudite violenze subite dall’ex sindaco di Farindola Massimiliano Giancaterino: ha rimediato 6 giorni di prognosi e sporto querela dai carabinieri.

“Io e Gianluca (Tanda, ndr) siamo stati offesi, minacciati di morte, aggrediti e malmenati: un episodio gravissimo e inqualificabile. Massimiliano Giancaterino abbia il coraggio di raccontare come sono andati davvero i fatti e si assuma le sue responsabilità”.

A parlare è Giampaolo Matrone, uno dei sopravvissuti della catastrofe di Rigopiano, che nell’inferno dell’hotel sepolto dalla valanga il 18 gennaio 2017 ha perso la moglie Valentina e subito pesanti menomazioni, in particolare alla mano destra.

 

LA VICENDA. “Il 14 maggio Matrone e Tanda, Presidente del Comitato Vittime, erano stati a Rigopiano in occasione del passaggio del Giro d’Italia, transitato appositamente nei pressi del luogo della tragedia per ricordare le 29 persone che vi hanno perso la vita. In serata si erano quindi fermati a Farindola per incontrarsi nella piazza del paese con Erica Lacchetta, moglie di una delle vittime, Alessandro Giancaterino, e per conoscere anche suo figlio.

Sono andati a prendere un caffè nel vicino bar dove c’erano anche l’attuale sindaco Ilario Lacchetta, che ha assistito a tutta la scena, e, appunto, Massimiliano Giancaterino, fratello di Alessandro ed ex primo cittadino di Farindola, entrambi tra i tanti indagati del procedimento penale per disastro colposo aperto dalla Procura di Pescara.

Era visibilmente alterato – racconta Matrone – Mentre ero al bancone mi ha colpito da dietro proprio sul gomito del braccio destro con il chiaro intento di provocare. Mi ha intimato di uscire dal bar e mi ha pure spinto via con la forza, sia me che Gianluca Tanda, apostrofandomi con parole scurrili. Altri avventori inveivano contro di noi e l’attuale sindaco Lacchetta non ha aperto bocca.

Per evitare guai, Matrone, Tanda e le altre due donne che sono con loro se ne vanno; ma mentre sono ancora in piazza il presidente del Comitato vittime riceve dei messaggi whatsapp da Giancaterino nei quali l’ex sindaco rincara la dose, scrivendo che “non erano a casa loro e che non dovevano più comportarsi in quel modo”. Ma come, dopo aver subito un’aggressione verbale e anche fisica?.

Tanda e Matrone decidono allora di tornare indietro per chiedere spiegazioni dei suoi i farneticanti messaggi all’ex sindaco ma questi, sempre nei pressi del bar, per tutta risposta reagisce mettendo le mani in faccia al pasticciere di Monterotondo e allontanandolo bruscamente. E altre persone del posto gridano ai due di andare via, aggiungendo epiteti quali “pezzi di m…” e simili. A quel punto Tanda interviene in difesa di Matrone, che è invalido e non può difendersi, “ma Giancaterino mi ha dato una violenta spinta, mi ha messo la mano sul torace e mi ha scaraventato per terra: avendo una sola mano utilizzabile, non sono riuscito a oppormi e ad evitare la caduta” continua Matrone. “Abbiamo vissuto momenti di paura: Giancaterino, agente di polizia locale, ha in dotazione l’arma e il gruppetto che era con lui ci minacciava brandendo delle aste”. Un’autentica aggressione “squadrista”.

Matrone e Tanda dunque si allontanano definitivamente per i gradoni della piazza, ma per Giancaterino non è ancora abbastanza. L’ex sindaco si para di nuovo di fronte a loro, “e ha tentato ancora di colpirci con dei pugni” aggiunge il pasticciere di Monterotondo. Per fortuna i fendenti vanno a vuoto, ma i suoi “compari”, nel frapporsi tra Giancaterino e i suoi due “avversari”, fanno cadere questi ultimi giù per le scale. “Nella caduta ho riportato un brutto colpo al petto e mentre ero steso a terra, Giancaterino mi ha pure assestato un calcio al volto” prosegue Matrone. E non è finita perché, quando finalmente Giancaterino viene portato via, “io e Tanda siano stati spinti e strattonati da numerose persone e che ci hanno fatto allontanare, lanciandoci dietro anche tre grossi vasi di fiori da un cortile che solo per miracolo siamo riusciti a schivare””.

Matrone si è quindi recato al pronto soccorso dell’ospedale di Penne dove gli hanno riscontrato botte contusioni e abrasioni al volto, al ginocchio e al torace, per una prognosi di sei giorni. E l’indomani ha sporto querela presso la stazione dei carabinieri della stessa Penne.

 

“Sono rimasto sconvolto da quanto è successo – conclude, amareggiata la vittima – Volevo tenerlo per me ma ho deciso di denunciare tutto perché Giancaterino ha raccontato una versione dei fatti totalmente falsa: sappia che abbiamo testimoni. E anche il sindaco Lacchetta deve riferire la verità. Dall’ex sindaco non voglio le scuse ma che abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di quello che fa fatto nei confronti dei familiari delle vittime di Rigopiano e del sottoscritto, che è invalido al cento per cento. E intendo anche ribadire con forza che noi non ce l’abbiamo in alcun modo con i cittadini Farindola. Ce l’abbiamo solo con gli indagati di Farindola: sono loro che tengono in ostaggio la comunità”.

LA REPLICA DI GIANCATERINO

Massimiliano Giancaterino, dal canto suo, fornisce una versione del tutto opposta, in una lettera che pubblichiamo integralmente, e chiarisce di aver anche lui di aver sporto regolare denuncia querela, aggiungendo: “La Verità, quella con la V maiuscola, la stabiliranno i Magistrati”.

La sera del 14 maggio mi trovavo in piazza Mazzocca, seduto ad un tavolo a cenare con alcune coppie di amici durante una delle serate organizzate a contorno del passaggio del Giro d’Italia nella mia piccola cittadina. Erano presenti, insieme a me, almeno altre duecento persone almeno.

Alzatomi per entrare al bar per prendere un caffè, durante il tragitto per tornare a tavola incontravo il Sindaco Ilario Lacchetta che salutavo cordialmente. Nel sedermi al mio tavolo, distante pochi metri, gli amici seduti con me mi facevano notare che insieme al Sindaco – o comunque nelle sue vicinanze, vi erano anche Tanda e Matrone.

Avendo, quantomeno col Tanda, un rapporto civile (non conoscevo di persona il Matrone), decidevo di andare a salutarlo. Tornavo sui miei passi e rientravo al bar, ove trovavo i due, oltre a numerosi altri avventori. Porgevo, quindi, la mano al Tanda il quale me la stringeva. Vedendo il Matrone guardare altrove, lo toccavo amichevolmente su una spalla per richiamare la sua attenzione, per salutare anche lui.

Il Matrone si girava. Mi presentavo, dicendo che ero il fratello di Alessandro, morto sotto la Valanga. A queste parole lo stesso Matrone replicava con pesanti insulti (da ricondurre alla mia veste di indagato nella Tragedia) dicendo che comunque ci saremmo visti in Tribunale e, insieme al Tanda, usciva dal locale.

Sopreso da tale atteggiamento aggressivo e ingiustificabile, il sottoscritto, molto risentito, scriveva su Whatsup al Tanda le seguenti testuali parole: “Complimenti a te e al tuo amico, siete proprio bravi. Ci vediamo in tribunale. Siete grandi. Io vengo a salutarvi a casa mia e vengo trattato così. Va bene. Finisce ogni forma di dialogo da parte mia. Bravissimi”.

Non appena terminato di digitare, notavo che dal fondo della piazza facevano ritorno il Tanda e il Matrone, con atteggiamento minaccioso. Ero fermo poco distante dalla porta del bar, verso il centro della piazza. Il Tanda e il Matrone si avvicinavano minacciosamente: dapprima vomitavano su di me insulti di ogni genere, poi il primo mi assestava una manata violentissima in faccia, diversi spintoni e un colpo al collo; il secondo mi colpiva con dei calci ripetuti. Evitavo di reagire alla violenza subita, tenendo le mani a posto. Venivo sottratto alla furia dei due soltanto dall’intervento di tanti compaesani che mi trascinavano via letteralmente.

Immediatamente dopo, volendo chiarire l’accaduto, seguivo i due lungo la scalinata che conduce alla Farmacia: alla mia richiesta di chiarimenti, per risposta ottenevo un’altra serie di colpi a viso e gambe. Anche in questa seconda occasione non alzavo un dito per colpire i due e venivo sottratto ai due dall’intervento di alcuni amici. A tutte le descritte fasi assistevano (allibiti) almeno duecento persone, presenti in quel momento in piazza per la festa.

La mia etica professionale e l’onorabilità del Corpo di Polizia Municipale di cui faccio parte mi impongono un’altra considerazione: NON HO MAI MINACCIATO DI MORTE NESSUNO IN VITA MAI, tanto meno Tanda e Matrone; il solo paventare, da parte loro, l’uso della mia arma di ordinanza è malizioso assai e tende subdolamente ad insidiare il mio posto di lavoro. La mia arma, quando non sono in servizio, è custodita in luogo sicuro, smontata. Mai la porto con me al di fuori del servizio (non potrei) e men che meno mi sognerei di farne o minacciarne l’uso per motivi non attinenti alle mie qualità  di Ufficiale di Polizia Giudiziaria e di Agente di Pubblica Sicurezza.In ogni caso ho sporto regolare denuncia querela per i fatti di cui sopra. La Verità, quella con la V maiuscola, la stabiliranno i Magistrati
Avv. Massimiliano Giancaterino.