Il ministero aveva rigettato le domande della vedova e degli orfani, ancora minorenni all’epoca della morte dell’uomo. Ne dà notizia l’Osservatorio Nazionale Amianto, che ha seguito la vicenda insieme all’avvocato Ezio Bonanni.
L’Osservatorio e il legale, infatti, hanno sostenuto la famiglia nella lunga vicenda giudiziaria, andata avanti per dieci anni, prima presso il Tribunale di Pescara, per il riconoscimento dello status di vittima del dovere, e successivamente al Tar del Lazio con la pronuncia di riconoscimento della causa di servizio e la condanna al risarcimento del danno. La causa prosegue per l’opposizione del Ministero a risarcire e perché bisogna determinare l’importo del danno. Nella sentenza viene sottolineato che “il militare avrebbe operato privo di dispositivi di protezione e non sarebbe mai stato informato della presenza di agenti patogeni”.
Il Tar del Lazio richiama il principio per cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure necessarie che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
In particolare, in relazione ai militari, ribadisce il “dovere dell’Amministrazione della Difesa di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, dotandolo di equipaggiamento adeguato”.
“Questo processo – commenta la vedova, Anna Odore – è stato anche un motivo per ricordare di mio marito – Ho voluto portare avanti la sua volontà di abbattere un sistema che negava gli effetti derivanti dall’amianto e dall’uranio impoverito”.