La quarta sezione penale della Cassazione ha annullato le 10 condanne agli ex manager emesse dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila il 17 febbraio 2017.
In particolare, quattro degli imputati vengono assolti per non aver commesso il fatto, per altri sei la Corte ha dichiarato prescritto anche il reato di disastro ambientale riconosciuto in Appello. Le condanne pronunciate in quelle sede, dai due ai tre anni, erano comunque tutte coperte dall’indulto. Ma le parti civili puntavano sulla conferma per i risarcimenti.
Ora la strada è tutta in salita. La Cassazione, oltre ad annullare agli effetti penali la sentenza d’Appello, ha anche revocato le statuizioni civili, ossia le provvisionali sulle quali le parti, tra cui presidenza del Consiglio, ministero dell’Ambiente, Regione e Provincia, oltre ad associazioni ambientaliste e privati cittadini, avrebbero dovuto basare la causa in sede civile.
La Suprema Corte ha nuovamente ribaltato l’esito di un processo partito in salita. In primo grado, il 19 dicembre 2014, la Corte d’Assise di Chieti aveva assolto tutti i 19 imputati. I giudici di secondo grado invece avevano riconosciuto il disastro ambientale e quindi condannato 10 degli imputati, mentre avevano dichiarato prescritto l’altro capo dell’imputazione, l’avvelenamento colposo di acque. Ora la Cassazione, annullando le statuizioni civili, ha ritenuto evidentemente il processo prescritto prima della sentenza di primo grado. Il sostituto pg della Cassazione Simone Perelli, in udienza, aveva invece chiesto l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati, ritenendoli basati su rivalutazioni di elementi di merito, mentre per quanto riguarda la prescrizione, aveva ritenuto corretto il calcolo dei giudici dell’Aquila che hanno datato la commissione del reato al 2002, anno in cui lo stabilimento è passato di proprietà, rilevato dalla Solvay.
La decisione della Corte è stata appresa con sconforto dai legali di parte civile, secondo i quali il risultato è che ora “la bonifica la pagherà lo Stato”.
La sentenza della Cassazione, ribaltando le conclusioni della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, ha sancito che non ci sono o non sono individuabili colpevoli per quella che è stata definita la discarica abusiva più grande d’Europa. Una situazione paradossale, che complica anche le prospettive di bonifica, per la quale il futuro è a questo punto di nuovo tutto da scrivere.
L’avvocato Tommaso Navarra, che ha rappresentato il WWF e Legambiente nella lunghissima fase processuale, è durissimo nel suo commento: «Oggi sconfitto è lo Stato che dopo 11 anni di processo arriva ad accertare che non vi sono responsabilità o che quelle che forse vi erano sono prescritte. Oggi sconfitta è la nostra comunità che dovrà farsi carico della non risoluzione del problema e dei costi umani ed economici che questo problema rappresenta. Noi – assicura – continueremo una battaglia di civiltà, anche giuridica, consapevoli che lo dobbiamo alla nostra storia, anche di impegno legale, e alle nostre future generazioni. Tutti devono sapere che continueremo a controllare il territorio, a denunciare gli abusi e a chiedere a voce forte e alta quella Giustizia con l’iniziale maiuscola che oggi ci è stata negata».
Il delegato regionale del WWF Abruzzo fa invece un passo indietro: «Nel 1972 – ricorda – un assessore comunale di Pescara, Giovanni Contratti, denunciò pubblicamente il problema e puntò l’indice contro Montedison. Il risultato fu per lui una sorta di damnatio memoriae mentre la questione inquinamento veniva tranquillamente dimenticata salvo riesplodere molti decenni dopo, nel 2007, con le conseguenze che abbiamo visto. È un dato di fatto che i veleni lì ci sono e non possono essersi depositati da soli, ed è un dato di fatto che il danno per la collettività è stato immenso e in qualche modo dovrà essere riparato. Certo lo Stato e chi lo ha rappresentato in questi anni non ha nulla di cui vantarsi: questa sentenza, al di là di ogni implicazione di carattere giudiziario, segna il sostanziale fallimento di una classe politica che, salvo poche lodevoli eccezioni, come quella rappresentata a suo tempo proprio da Contratti, ha clamorosamente mancato ai propri doveri di difesa della salute e dei reali interessi dei cittadini».
Rincara la dose il presidente regionale di Legambiente Giuseppe Di Marco: «La sentenza della Cassazione che ribalta quella di Appello è un vero incubo per gli abruzzesi. Tutto si conclude infatti con annullamenti e prescrizioni. Queste ultime non possono non richiamare alla mente il gravissimo ritardo politico nell’approvazione della cosiddetta legge sugli ecoreati, intervenuta solo nel 2015 dopo oltre 20 anni. Quella legge, oltre ad aver inserito specifiche fattispecie di reato nel nostro codice penale, prevede tempi di prescrizione più lunghi, fino a 30 anni e anche 45 in presenza di aggravanti, ma è purtroppo inapplicabile al caso Bussi. Questo problema, già sollevato nella sentenza eternit, contribuisce a scrivere un’altra triste pagina italiana in questa battaglia di civiltà».
“Si paga la questione della prescrizione, che è il vero disastro della giustizia in Italia. Non ci aspettavamo molto, anche perché abbiamo frequentato le aule dei tribunali, essendo spettatori di molte vicende poco commendevoli”, commenta, invece, Augusto De Sanctis del Forum H2o.
“La legge sulla prescrizione non aiuta, come pure non aiuta l’interpretazione di questa legge fornita negli anni dalla Cassazione, tanto che c’è stata la prescrizione anche nel caso sull’amianto a Casale Monferrato (Alessandria), dove ci sono stati 3.000 morti – osserva De Sanctis -. Questa è sicuramente un’ingiustizia, significa che lo Stato non è arrivato in tempo per perseguire i reati, ma vorremmo che si distinguesse tra l’aspetto penale, che riguarda i reati, e quello delle bonifiche, che sono un obbligo di legge, anche da un punto di vista amministrativo e che non possono essere intaccate da questa sentenza”. L’esponente del Forum H2o sottolinea che “su questo secondo fronte l’iter sta andando avanti e noi continueremo a seguirlo, augurandoci che possa portare i frutti sperati”.
De Sanctis invita poi “il ministro Costa ad esaminare comunque un eventuale percorso di giustizia sul piano civile, rispetto al danno ambientale”. L’attivista ambientalista rimarca che “una cosa sono i reati e una cosa è l’inquinamento, che è un dato oggettivo, che è qualcosa che qualcuno ha commesso, tanto che per alcune aree, molto vaste, già è stato individuato Edison come responsabile della contaminazione, prima ancora del terzo grado di giudizio. Quello è un percorso amministrativo, previsto dalle leggi – conclude De Sanctis – e non crediamo che possa essere intaccato da questa sentenza”.