Pescara. Il Ddt sul fondale del porto c’è, questo l’Agenzia regionale per la tutela ambientale (Arta) non l’ha mai nascosto. Lo hanno ribadito stamani il direttore generale Mario Amicone e il direttore tecnico Giovanni Damiani, in una conferenza stampa indetta per far chiarezza sulle recenti critiche piovute in merito alla diffusione dei risultati dei rilevamenti effettuati prima del dragaggio del dicembre 2011.
Anzi, l’Arta oggi svela che delle nuove analisi hanno riscontrato ben 4 punti all’interno della darsena commerciale, che si aggiungono a quelli che aveva riscontrato l’Indam, ovvero il laboratorio privato al quale si era rivolta la procura di L’Aquila per poi procedere al sequestro della draga che avrebbe dovuto asportare 73mila metri cubi. Obbligatorio un passo indietro. Il commissario delegato per il dragaggio Guerino Testa (dimesso) prima, il provveditorato interregionale alle Opere pubbliche poi, avevano commissionato all’Arta le analisi per definire la natura dei fondali da dragare: dal livello di inquinamento e dal conseguente smaltimento/trattamento dipendono infatti i costi dell’appalto. E dai 53 rapporti di prova emessi dall’agenzia a luglio 2011 si è autorizzato il dragaggio di dicembre: pareri positivi al punto da far decidere il provveditorato a rigettare i materiali scavati direttamente a mare. L’immediato stop, con la draga Gino Cucco appena avviata, la procura aquilana bloccò i lavori rilanciando gli esami sugli stessi campioni prelevati dall’Arta ma analizzati dal laboratorio Indam: secondo la struttura privata, 5 carotaggi hanno rilevato la presenza di pesticidi, al punto da ritenere lo sversamento in mare del fondale raschiato dalla darsena commerciale un “traffico di rifiuti”. Da qui l’inizio di un contenzioso.
IL CONTENZIOSO. I laboratori dell’Arta non rilevano elementi inquinanti che altri laboratori rilevano? Su questa domanda si è disputata una lunga contesa tra più parti. In primis il Wwf e la stessa agenzia diretta da Amicone, con i primi a sostenere che i chimici dell’Arta avevano sin dall’inizio rilevato il Ddt ma senza renderlo noto. Quindi, ribadita oggi, la replica del direttore generale: “Abbiamo detto fin da agosto 2011 che il Ddt c’era, ma noi non abbiamo rilevato quantitativi superiori al 4,8 microgrammi per chilo”. Questo infatti è il limite stabilito dal manuale di riferimento per la movimentazione dei sedimenti marini redatto da Apat e Icram (istituti governativi) per poter scaricare il materiale direttamente in mare. Un contenzioso fra le parti, finito per concludersi con un nulla di fatto: una riunione del 9 marzo 2012, supervisionata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dall’Istituto superiore di sanità, ha stabilito che “Non è possibile stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, se i campioni esaminati abbiano una concentrazione di Ddt superiore o inferiore alla soglia fissata dal manuale sopra citato”. Causa di ciò è la differenza tra i metodi analitici utilizzati dai due laboratori, che possono produrre risultato con tolleranze diverse tra loro, conseguenza di un mancato metodo condiviso e unificato per tutti i laboratori. Di più: non esiste in Italia e in Europa nessun laboratorio certificato per la determinazione del Ddt nei sedimenti marini: troppo costoso ricevere un accreditamento per rilevare un materiale fuori produzione da circa 30 anni, ci si limita ad eseguire prove e misure riconosciute su larga scala.
COMMISIONE DI INDAGINE. Archiviato in un limbo il passato, Arta si è messa a lavorare per il futuro, o meglio, per il presente. Scottato da chi ha messo in dubbio l’operato della sua agenzia, Mario Amicone medita di passare alle vie legali contro chi ha diffamato l’Arta, tacciandola di aver insabbiato una presunta presenza di veleni nel porto: “Parliamo di milionesimi di grammi per chilo, una quantità irrisoria di Ddt”, precisa il direttore tecnico Damiani”. Ma proprio lavorando per rendere più chiaro il proprio operato, l’Arta ha scoperto nuovi picchi di Ddt, portando Amicone ad aprire una commissione di inchiesta sull’operato dei propri dipartimenti, al fine di capire chi e come ha sbagliato: “Sarà composta da membri esterni”, ha spiegato il capo dell’agenzia, “perché voglio far accertare nel modo più onesto possibile com’è capitato che le due analisi abbiano dato esiti differenti”.
RECUPERABILE IL 15 PER CENTO DEL DRAGATO. Dopo la brutta figura rimediata, l’Arta ha ripreso in mano i prelievi fatti nel 2011, e tra il 14 e il 16 febbraio 2012 ha eseguito nuovi carotaggi tra la darsena commerciale, il porto canale e il bacino d’evoluzione: un totale di 131 ‘carote’ di detriti portati dal fiume e sabbia risalita dal mare depositati sui fondali e con essi campionati metro per metro, fino a rinvenire 13mila sostanze diverse sparse sotto le acque dello scalo portuale. Una nuova caratterizzazione sull’intera area che ad ottobre scorso ha prodotto 53 nuove prove, utili per il provveditorato a stilare il bando per il dragaggio da 200mila metri cubi che dovrebbe partire a dicembre prossimo, per una spesa da 13-14 milioni. Rientrare nei costi sarà primaria preoccupazione delle ditte che parteciperanno alla gara d’appalto (13 quelle che avrebbero manifestato interesse), e i costi potrebbero abbassarsi se i materiali asportati possono essere rivenduti, magari dopo trattamento, per essere reimpiegati in altri scopi. Non si parla certamente del fondo del canale: “E’ tutto rifiuto speciale non pericoloso”, spiega nel dettaglio Damiani, “materia trasportata dal fiume, e qui l’inquinamento è noto da tempo immemore”. Faccenda diversa per l’area a ridosso del mare: la banchina commerciale e il largo imbocco tra il molo nord e la diga foranea, dove la sabbia risale con la marea, quindi correnti pulite e ghiaia che ripulita diventa appetibile per molti usi. In quest’ultima zona, le nuove analisi hanno rintracciato 4 nuovi punti dove il Ddt supera, e di molto, la soglia di concentrazione di 4,8 microgrammi per chilo. Tra i 170 e i 320 centimetri di profondità sotto il fondale, sono stati rilevati picchi di 10.2, 11.5, 12.1 e 14,8 microgrammi di pesticida. Il 15 per cento dell’area restante sarebbe invece al di sotto della soglia dei 10 microgrammi di Ddt, che per legge è materiale riutilizzabile per lavori industriali: quindi, a fronte di zone ben localizzate che individuano le parti di fondale da mettere in discarica, la caratterizzazione dell’Arta indica al futuro vincitore dell’appalto dove andare a pescare la sabbia da rivendere. “Questo attua una strategia del risparmio che permetterà di salvare parecchi denari”, sottolineano a gran voce Amicone e Damiani.
SCAVA, ANALIZZA E DECIDI. Le indiscrezioni sul bando per il nuovo dragaggio stilato dal ministero delle Infrastrutture riferiscono che chi effettuerà i lavori dovrà procedere per lotti, con una metodologia abbastanza rapida ma complicata. Eliminata la possibilità di sversare in mare, si scaveranno 2mila metri cubi alla volta a partire dall’imbocco sud della darsena commerciale, quindi su quelli si effettueranno volta per volta delle analisi per capire la qualità del dragato e deciderne la destinazione finale. I parametri fissati dal bando darebbero alla ditta solo 72 ore di tempo, dal prelievo, per far eseguire le analisi e notificare i livelli di ddt contenuti: un tempo impossibile per ogni laboratorio, asseriscono i quadri tecnici dell’Arta. Proprio a riguardo, l’agenzia regionale sta lavorando dal 17 ottobre per ricevere l’accreditamento per i controlli sul Ddt, una procedura che richiede 3 campioni puri di materiale pesticida: finora ne sono stati reperiti 2, un terzo si sta fabbricando in Giappone. Resta da capire quali laboratori potranno esaudire le richieste del bando per conto della ditta appaltatrice.
Daniele Galli