Pescara. Fideiussioni false per 230 milioni: dalla denuncia del Confidi pescarese è partita l’indagine su scala nazionale per sgominare una banda che ha truffato, con falsi capitali garantiti, imprese, ministeri, dogane e squadre di calcio. Una struttura parallela a quella degli istituti bancari era il punto forte dell’associazione criminale: documenti falsi ma fedelmente riprodotti hanno ingannato 200 persone.
“Buongiorno, io vi ho mandato 100 mila euro per la fidejussione, ma la polizza quando me la mandate?”. Telefonate simile a questa, ricevute a marzo 2011 da imprenditori pugliesi, piemontesi e lombardi, hanno innescato il sospetto in Giorgio Di Rocco, presidente del Confidi Mutualcredito. Innanzitutto perché l’istituto di credito pescarese non opera al di fuori dei confini abruzzesi e molisani, e poi di quelle polizze fideiussorie reclamate non risultava traccia alcuna nei registri del consorzio che si gestisce finanziamenti e contributi a piccole e medie imprese. Ma quegli imprenditori, invitati da Di Rocco a presentarsi, hanno mostrato dei documenti apparentemente originali, con tanto di atti notarili che certificavano la transazione eseguita. Ovvero la copertura garantita di capitali economici dietro il pagamento di una commissione.
Materia di indagine per la guardia di finanza di Pescara, che ha attivato l’attività investigativa in collaborazione con il compartimento Abruzzo di polizia postale e delle comunicazioni. La prima pedina alla quale sono arrivati i Berretti Verdi del colonnello Mauro Odorisio e gli esperti informatici della PolPoste guidati da Pasquale Sorgonà, è stata quella di un broker abruzzese, colui che aveva contattato gli imprenditori per rivolgersi al Confidi. Ma quello che poteva sembrare un malfattore, si è rivelato a sua volta uno truffato, vittima del raggiro di un romano spacciatosi per emissario dell’istituto pescarese. Questo il tassello che ha portato, come un domino, l’espansione su scala nazionale dell’operazione ‘True’, un indagine che ha coinvolto le procure di Pescara, Rieti, Roma e Torino e che ha portato alla luce un’associazione a delinquere formata da 9 persone dedite alla truffa.
Una struttura talmente ben congegnata da presentarsi parallelamente identica a quella di una vera agenzia finanziaria, poggiata sulla maestosa frode informatica che solo l’analisi incrociata di 8mila email, 600mila telefonate e milioni di indirizzi I.P. (le matrici di ogni connessione internet) ha potuto smontare pezzo per pezzo, per risalire infine ai responsabili. Banali trucchi uniti al rimando dagli indirizzi internet reali a quelli falsi, creati ad hoc e ora sequestrati. L’ormai diffusa tecnica del phishing: è stato usato il falso indirizzo e-mail ‘info@confidimutualcredito.it’, al posto dell’originale ‘info@mutualcredito.it’ per contattare i raggirati e proporre polizze con commissioni al 3 per cento, molto più appetibili del 7 per cento proposte dalla maggior parte delle banche sul mercato. Solo di percentuali, i truffatori sono riusciti ad intascare 7 milioni di euro sulle 133 polizze false accertate dagli investigatori, che tra rivoli esteri e risvolti ancora da appurare hanno ragione di poter arrivare alla cifra tonda di 150,per un totale di 200 vittime e di capitali garantiti che raggiunge l’astronomica cifra di 230 milioni di euro. Tra cliente e finti emissari i contatti avvenivano quasi sempre per via telematica, e quando per firmare le due parti si dovevano incontrare, dinanzi al beneficiario della polizza arrivava un astuto millantatore, con una borsa carica di carte e documenti: assegni incassati, certificati di conti fino a 10 miliardi di dollari riportanti i marchi di note banche di calibro mondiale, tesserini di funzionari dell’esercito, prefetture, ministero della difesa. Tutto finemente artefatto e in grado di ingannare, oltre a privati, istituti ed enti pubblici tribunali, Regioni, agenzie delle entrate, del demanio e delle dogane di varie province e tra Abruzzo, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte, Liguria e Lombardia. Nella rete, in estate, sono cadute anche le società calcistiche del Chieti, del Treviso, del Como e del Casale Govenai, che si sono viste rifiutare dalla Lega Pro le fideiussioni riconosciute come false, finendo quindi per non potersi iscrivere ai campionati o dover ricorrere ai ripescaggi nelle categorie inferiori. Vittima anche il ministero del Lavoro, che con le stesse polizze finte è stato raggirato da cinque persone, tra cui anche l’ex amministratore delegato della De Tomaso Gian Luca Rossignolo, per l’indebita riscossione di contributi pubblici destinati a corsi di formazione per il personale della casa automobilistica torinese, in realtà mai tenuti, come appurato dalla procura di Torino in un’indagine che ha preso origine e spunto da quella pescarese.
Finti anche i documenti d’identità utilizzati dai 9 truffatori per aprire i conti correnti sui quali venivano versate le percentuali: bastava procurarsi o fabbricare i tesserini identificativi relativi a persone realmente esistenti, sostituendo alle fototessere le proprie facce, a totale insaputa dei malcapitati coinvolti. Falsi pure i conti paypal utilizzati per pagare i numeri verdi e di fax allestiti per mostrare l’esistenza di centri di assistenza per i clienti o per ricevere le coordinate bancarie e gli assegni di pagamento. Strumenti e architetture degne di una vera e propria associazione a delinquere.
IL SEQUESTRO NEL FORTINO LAZIALE. Un anno e mezzo di indagini: la finanza a ricostruire i flussi contabili, la PolPoste a risalire la piramide informatica, tutti insieme a lavoro per rintracciare i responsabili. Tre i capi del sodalizio, uno dei quali, con lo spiccato passato criminale alle spalle, si era rivolto perfino a varie testate giornalistiche per chiedere di rimuovere dagli archivi on-line le notizie relative alle rapine commesse in gioventù, asserendo di essere persona riabilitata che veniva danneggiata dalla circolazione di tali informazioni sul suo conto. Quattro i broker in circolazione, due fratelli, invece, sono considerati come i cassieri incaricati di gestire i conti correnti sui quali venivano poi dirottati gli introiti delle frodi. Le ordinanze di misura cautelare, 3 carcerazioni, 3 arresti domiciliari e 3 obblighi di presentazione, sono state rese esecutive ieri, quando all’alba è scattato il blitz con 80 finanzieri e poliziotti in azione su tutti i territori coinvolti. Quella laziale la zona più calda: qui è stato rinvenuto un vero e proprio fortino, sorvegliato da cani e telecamere di sorveglianza. All’interno la centrale per la falsificazione dei documenti, piena zeppa di timbri ministeriali e moduli ministeriali falsificati, documenti bancari e notarili artefatti, tessere assegni e carte magnetiche artefatte. Oltre alla montagna di carte facilmente immaginabile, sono stati sequestrati 21 telefoni cellulari, 2 hard disk e 7 computer, tra cui un portatile nascosto nel cassetto della biancheria nell’appartamento di uno dei capi della rete. Sotto sequestro anche i proventi dell’attività illecita: 6 conti correnti da 40mila euro circa, 4 automobili e una motocicletta di grossa cilindrata. “La fideiussione si presta bene alla truffa”, ha spiegato Roberto Di Mascio, capitano della polizia tributaria di Pescara, “poiché se il debito rimane coperto, il capitale garantito non viene toccato, quindi l’istituto di credito coinvolto spesso non si accorge di niente”.