Pochi mesi dopo il raid punitivo che portò alla morte di Domenico Rigante potrebbe già arrivare il giudizio per i cinque rom accusati dell’omicidio dell’ultras 24enne. Il pm Salvatore Campochiaro ha infatti chiesto e ottenuto il processo dinanzi alla Corte d’Assise di Chieti per Massimo Ciarelli, 29enne che avrebbe tirato il grilletto della calibro 38, e per i suoi 4 complici: il nipote Domenico e i cugini Luigi, Antonio e Angelo
Le accuse sono pesanti: oltre il porto abusivo d’arma, c’è l’omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione dai vari motivi acclarati dalla squadra mobile. Uno su tutti, la contesa tra Massimo Ciarelli e Antonio Rigante, gemello della vittima e vero obiettivo dello squadrone zingaro. Fu lui che la sera del 30 aprile aveva provocato le ire del presunto omicida con un’aggressione a Pescara Vecchia, generando la vendetta della sera del primo maggio, che prima di sfociare nella strage di via Polacchi era passata per piazza Grue, dove proprio Antonio era stato inseguito armi in pugno dai Ciarelli. Da subito, le fitte indagini del reparto investigativo guidato da Pierfrancesco Muriana, dopo aver stanato i componenti della famiglia nomade, hanno raccolto prove e testimonianze giudicate ‘evidenti’: confronti all’americana tra testimoni e indagati in grado di controbattere le dichiarazioni di innocenza professate dai carceri di Pescara e Vasto.
Queste prove e quanto contenuto nel codice di procedura penale hanno permesso al magistrato della procura pescarese di richiedere il giudizio immediato, ovvero portare il procedimento direttamente al giudizio definitivo, saltando l’udienza preliminare e stringendo alle corde difensori e accusati. La richiesta è stata avanzata lo scorso 27 ottobre al gip Maria Michela Di Fine. Stava a lei decidere, mentre ai legali dei Ciarelli restava da scegliere la strategia difensiva: accettare il processo immediato o ricorrere al rito abbreviato. La seconda via, preferibile quando si è praticamente reo-confessi, avrebbe portato ad una regolare udienza preliminare ma senza un conseguente dibattimento accusa contro difesa, e in caso di condanna gli imputati avrebbero goduto di un massiccio sconto della pena, quindi non più di 24 anni di reclusione.
Più sicuri di potersela giocare davanti alla giuria, gli avvocati Metta e Valentini hanno optato oggi per il rito immediato, ovvero portare i propri assistiti direttamente davanti al banco della Corte d’Assise di Chieti: qui il dibattimento inizierà il 20 febbraio, ma se il collegio giudicherà colpevoli Massimo Ciarelli e i suoi parenti, per loro le porte del carcere potrebbero chiudersi a vita. Il rito immediato, infatti, non prevede sconti: se le difese non riusciranno a trasformare il capo d’accusa dell’omicidio volontario in quello, meno grave, del preterintenzionale, la pena prevista sarà l’ergastolo.