Saranno interrogati domani mattina alle 10.30, Angelo, Luigi, Antonio e Domenico Ciarelli, ritenuti complici del 29enne Massimo Ciarelli e componenti del commando che la sera del primo maggio stanò il 24enne Domenico Rigante in un appartamento di via Giambattista Polacchi per ucciderlo con un colpo di revolver calibro 39special al fianco.
I primi tre sono fratelli tra loro e cugini di Massimo, mentre Domenico è il nipote. Mentre Massimo si è consegnato sabato pomeriggio, gli altri quattro sono stati sottoposti a fermo ieri dalla squadra Mobile di Pier Francesco Muriana, che fin da subito era risalita alle identità, ma attendeva di completare al meglio il quadro probatorio e individuare gli specifici ruoli di ognuno sulla scena del crimine prima di far scattare le manette; ma il pericolo di fuga ha indotto la polizia al fermo, rintracciandoli nei dintorni di Pescara, città dalla quale molti zingari si sono allontanati fin dalle prime ore dopo l’omicidio.
Per loro, accusati di aver sparato ad altezza uomo nel primo inseguimento ai danni di Antonio, il ‘gemellone’ di Domenico Rigante, con il quale Massimo Ciarelli doveva regolare i conti di una rissa, e di aver anche percosso violentemente Domenico dopo avergli sparato al fianco, pende l’imputazione di concorso nei reati contestati al rom 29enne: omicidio, tentato omicidio, violazione di domicilio e porto abusivo d’arma. Solo grazie alle testimonianze rese dagli amici dei Rigante e da chi era presente all’agguato è stato possibile ricostruire al meglio i fatti e giungere al fermo dei 4 presunti complici; ma l’appello di Muriana e del questore Paolo Passamonti è rivolto a chi non ha ancora parlato, per squarciare il velo del silenzio e aiutare gli investigatori a prendere gli altri componenti del commando, forse due, tuttora in libertà. Gli interrogatori saranno sostenuti dal gip Maria Michela Di Fine presso il carcere pescarese di San Donato, dove i quattro, tutti tra i 23 e i 24 anni, sono detenuti in isolamento. Massimo Ciarelli invece, già ascoltato dal gip di Chieti nel carcere di Vasto, si è avvalso della facoltà di non rispondere e si è professato innocente, forte del mancato ritrovamento dell’arma e dell’impossibilità per la Scientifica di effettuare lo Stub ed accertare la presenza di polvere da sparo sulle mani, essendo passato troppo tempo dall’omicidio all’arresto; ma si batte la strada della ferma convinzione del questore Passamonti: “A sparare è stato lui, ne siamo sicuri”.
Daniele Galli