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Pescara, in migliaia ai funerali di Domenico Rigante: giro dello stadio e corteo ultras. FOTO

Pescara. Migliaia di persone per dare l’ultimo saluto a Domenico Rigante, l’ultras 24enne ucciso dalla pistola di Massimo Ciarelli. Un corteo di tre ore si snodato per tutta la città e ha portato la bara biancazzurra allo stadio Adriatico per un giro d’onore, poi a casa del ‘gemellone’ e infine nella chiesa di Villaggio Alcyone. Dolore e rabbia della tifoseria contro la comunità rom: tante e pesanti le minacce di vendetta.

“Da fiero guerriero hai sempre combattuto, solo contro l’infamia nulla hai potuto”. Lo striscione più grande che campeggiava lungo l’intera Curva Nord racchiude tutti i sentimenti del corteo funebre che oggi ha accompagnato Domenico Rigante nel suo ultimo viaggio. La bara, bianca e azzurra, i colori della passione più profonda dell’ultras del Pescara, ha lasciato l’obitorio dell’ospedale Spirito Santo alle 14:00 accolta dal primo di centinaia di applausi scroscianti, calorosi, come non se ne sentono nemmeno allo stadio. Dietro al carro funebre un torpedone strombazzante, di automobili e tanti scooter: “Senza casco, come Domenico”, urla qualcuno. Si snoda un corteo che attraversa via del Circuito, via Caduta del Forte, tutta via Marconi fino a rientrare in via Mazzarino e dirigersi verso l’Adriatico da via Chiarini. La città si ferma al passaggio di centinaia di ragazzi con la stessa maglia: bianca e la foto di Domenico in tenuta da curva: “Sarai sempre uno di noi”, è il coro che si sentirà quasi ininterrottamente per tutte le tre ore di celebrazione. All’ingresso Maratona, il carro è accolto dalle note dell’inno della squadra biancazzurra, dentro migliaia e migliaia di persone allineate in un disordinato picchetto d’onore, la curva inaspettatamente vuota: solo pochi tifosi, dietro ai tanti vessilli delle tifoserie giunte in città per salutare il compagno-ultras; non solo gli amici di Vicenza e Messina, ma anche i meno ben visti di Foggia, della Lazio, di Torino. Gli unici non voluti sono i veronesi, accusati di aver gioito su Facebook per la morte del rivale.

Dal dolore alla rabbia: ‘Vi cacciamo dalla città’. Quando il carro si ferma sotto la Nord, la compatta sfrontatezza del glorioso plotone si sgretola in una deflagrazione di dolore. La bara di Domenico viene estratta dal carro e issata in alto, accolta dalle strazianti urla della compagna Angela e della mamma Antonietta. Si sentono nitide e stridenti nonostante lo scrosciare degli applausi, i botti dei petardi e il crepitio delle torce fumogene accese dalle tifoserie ‘ospiti’. Appresso a quel dolore arriva, tutto di colpo, quello dell’intero stadio e delle fila dei Rangers: la reazione dell’ultras in lacrime si fa rabbiosa, furente, schifata addirittura contro la comunità di appartenenza dell’assassino di Domenico, e partono i primi cori minacciosi: “Vi cacciamo dalla città”, ribadiscono i Rangers, che già giovedì hanno lanciato l’ultimatum di 5 giorni alle istituzioni per cacciare i rom, “oppure ci pensiamo noi”. La sete di vendetta viene manifestata senza sosta durante il giro d’onore che il carro compie sulla pista d’atletica: “E’ qui che ti aspetta ben nascosta”, cantano le facce in grugnite e bagnate di lacrime, il gesto di una pistola fumante mimato dai capi ultras chiariscono il complemento oggetto. Per tutto il corteo, prima e dopo il funerale, tanti saranno gli sfoghi razzisti rivolti ai nomadi: “Bastardi, merde, vi ammazziamo”.

Ma il cordoglio prende la parte che merita, e la gente dello stadio sgomita per salutare Antonio e Francesco, il gemello e il fratello minore di Domenico, mentre rintona il coro: “Gemellone uno di noi”. Il primo è più arcigno, addolorato ma conserva l’espressione coriacea di sempre, il più piccolo resta silente e spaesato con la testa dentro al cappellino di Domenico, che gli calza largo e protettivo.

Il corteo degli ultras. Terminato il momento pubblico, la famiglia di Domenico, quella enorme dei tifosi, si prende il proprio spazio riservato: lo striscione nero dei Pescara Rangers 1976 si mette in capo ad una parata fatta di tutti i rituali del tifoso, che attraversando tutta la pineta dannunziana punta verso casa di Domenico. Mani in alto, cori urlati fino allo sfinimento, fumogeni e dolore battono la strada per la bara biancazzurra riposta nuovamente a bordo del carro funebre. E nessuno si azzardi a superare lo striscione, i capi non permettono di dissacrare la ritualità profana; si può esultare, in composto silenzio, per i goal che il Pescara segna nel frattempo al Grosseto: 1, 2, il terzo e il quarto arriveranno durante la messa, e non si sparge la notizia dell’arresto di Massimo Ciarelli, altrimenti i festeggiamenti sarebbero divenuti incontenibili. Via D’Avalos, via Luisa D’Annunzio, via Scarfoglio, via Silone e via Antonelli assistono in silenzio alla sfilata che mira al cuore di Villaggio Alcyone. Quando arrivano in via Monte Carmelo, sotto casa di Domenico, ad aspettare i compagni di fede ci sono Angela e Antonio, con i braccio la piccola Angela, rimasta orfana a 4 mesi, ma con al collo la sciarpa del papà Rangers sembra riuscire a sopperire quanto a protezione, e la piccola non si mostra infastidita dagli applausi, dal fumo e dalle centinaia di mani che bramano di accarezzarla. Il breve momento di attesa e silenzio surreale si interrompe con violento rumore quando la bara viene nuovamente tirata fuori per essere portata a spalla fino alla chiesa del Santissimo crocifisso. Per primi tocca ai fratelli, poi tutti gli amici più cari fanno a gara per accollarsi il peso di Domenico per accompagnarlo in chiesa.

Gli amici sulla bara durante la messa. Sul piazzale al centro del Villaggio la folla si perde alla vista: a quelli che erano allo stadio si sono aggiunti gli amici del quartiere, bambini, anziani, i tantissimi che conoscono da sempre i “Gemelli del villaggio”. Sul sagrato vengono raccolti in due alti cumuli tutte le sciarpe colorate che coprivano la bara: un mosaico di lana e colore indistinguibile. Tolte queste, si scopre la maglia del Pescara, autografata da tutti i calciatori del Delfino, con stampato il 24, la giovane età del ragazzo scomparso, e il soprannome: D.Gemellone. Commovente la dedica: “A Domenico con il cuore e l’amore”. Antonio la prende e la alza al cielo, scoppiando nel pianto più profondo che fino a quel momento aveva trattenuto. La rabbia scema, sale acutissimo il dolore: crollano le gambe degli amici più stretti, che si accasciano sopra al legno biancazzurro. Ci rimarranno per tutta la cerimonia celebrata da don Giuseppe Di Bartolomeo, in un caloroso semicerchio che protegge mamma Antonietta e Angelica. Le due donne di Domenico, inconsolabili, riescono a trovare pace solo negli occhi della piccola Angelica, che con loro ascolta la messa seduta accanto alla bara. “Pochi giorni fa Domenico mi ha telefonato per fissare la data del battesimo, il 17 giugno”, dice il parroco nell’omelia, “purtroppo la violenza ha tolto la vita fisica al nostro fratello che si è ritrovato solo davanti alla realtà della morte. Per noi una realtà ancora più sconvolgente, paurosa e terribile”. “Ma la sua morte deve servirci da monito per insegnarci come vivere da cittadini”, ha aggiunto il prete prima di invocare un minuto di silenzio.

Alla zia vengono affidate le parole per ricordarlo, in una breve lettera che legge dal pulpito: “Ero in sala parto quando siete nati, ricordo quanto eravate forti già allora. Vi ricordo giocare da bambini, in giro con la bici per le strade: tutti conoscevano i gemelli del villaggio, avete avuto un’adolescenza turbolenta ma eravate amici di tutti e vi voleva bene chiunque. Con la paternità, invece, sei diventato un pantofolaio, stavi sempre a casa a curarti di Angelica: quando lei sarà abbastanza cresciuta da capire, le racconterà di quanto sei stato grande. Riposa in pace insieme a nonna Aida, che amavi così tanto da tatuartela sul corpo. Addio mio dolce nipote”.

Quando anche tutto il Villaggio ha terminato di porgere le condoglianze alla famiglia, le pare tornano a coprire la bara che torna sulla piazza: ancora striscioni issati e applausi e pianti e la rabbia che rimonta: “Vendetta, vigliacchi”, grida qualcuno in lacrime, ma i Rangers lo zittiscono per lasciare alla famiglia la silenziosa privacy che merita: “Saluta papà, fai ciao ciao con la manina”, dice nonna Antonietta alla nipotina, e le accompagna la carezza. La rudezza dell’ultras, invece, preferisce salutare con un pugno sul legno, prima che il carro prenda a sfilare in mezzo alla nube di fumogeni, diretta al cimitero di San Silvestro.

Si lascia nuovamente spazio al dolore: per la collera, totale ed esplosiva, la Curva ha convocato la manifestazione anti-rom di domani mattina; forse, l’arresto di Ciarelli potrà smorzare gli animi più determinati, ma l’allerta rimante comunque altissima.

 

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Daniele Galli