Pescara. Il Comitato di Valutazione di Impatto Ambientale (Via) della Regione Abruzzo, nella seduta di giovedì 16, dovrà, tra gli altri progetti, esaminare quello tristemente noto come “Megalò 2”.
Lo ricorda il Wwf che parla di “una nuova colata di cemento a ridosso del fiume: nella ultima versione, l’ennesima annunciata in questi anni, sono previsti infatti sette edifici che andrebbero a cementificare ulteriormente quella che era e dovrebbe tornare a essere un’area di esondazione naturale del fiume Pescara, che va rinaturalizzato e non ulteriormente danneggiato”.
L’associazione si dice “francamente stupita che, anche dopo i disastri che hanno funestato nei mesi scorsi l’Abruzzo, ci sia tanto accanimento a voler realizzare a ogni costo un’opera dannosa nonostante il mancato passaggio alla Via della struttura già realizzata. Nel novembre scorso il Wwf ha in proposito inviato una diffida al Comitato Via perché si rifiuti di prendere in considerazione la documentazione portata alla sua attenzione in relazione alle opere di messa in sicurezza ai fini idraulici del tratto golenale del fiume Pescara nel quale è stato assurdamente realizzato il centro commerciale Megalò e la realizzazione nella stessa area di ulteriori edifici commerciali: due progetti diversi e impossibili da valutare insieme. E domani – annunciano gli ambientalisti – l’avvocato Francesco Paolo Febbo e la presidente del Wwf Chieti-Pescara Nicoletta Di Francesco saranno a L’Aquila per ribadire la posizione dell’associazione”.
“Confermiamo – sottolinea l’avvocato Febbo – tutte le nostre riserve sull’esistenza stessa di Megalò in quella zona e la convinzione che, anche alla luce delle drammatiche criticità ambientali che si ripetono ormai con allarmante frequenza, la strada giusta, come si sta cominciando a ipotizzare un po’ ovunque in Italia, sia quella della delocalizzazione dei manufatti incautamente costruiti in aree a rischio e non certo l’irrazionale insistenza nel proporre altro cemento”.
Il Wwf interverrà anche in opposizione all’impianto trattamento rifiuti progettato a Rosciano sulle sponde del fiume Nora. “Al di là delle criticità intrinseche dell’impianto, in relazione alle quali abbiamo a suo tempo presentato le nostre osservazioni, c’è – sottolinea Nicoletta Di Francesco – un insormontabile problema di base: quello che è accaduto negli ultimi mesi in Abruzzo dovrebbe averci insegnato che accanto ai fiumi non si può e non si deve costruire nulla. Non possiamo continuare a cementificare in zone a rischio e poi lamentarci per quella che assurdamente chiamiamo l’inclemenza della natura”.
Sulla vicenda intervengono anche Maurizio Acerbo di Rifondazione Comunista e Enrico Raimondi, consigliere de L’Altra Chieti, secondo cui “è davvero incredibile che tornino alla carica con il progetto. E’ gravissimo che il Comune di Chieti sostenga progetto in zona di esondazione del fiume e che gli altri comuni, a partire da Pescara, non si oppongano. C’è una lunga storia di responsabilità bipartisan in questa vicenda urbanistica”.
“Centrodestra e centrosinistra – aggiungono – hanno consentito la cementificazione per fini speculativi di aree dove non bisognava costruire. E’ pazzesco che continuino a insistere anche dopo che l’inchiesta su megalò 3, l’altro lotto di quel piano, ha scoperchiato quale genere di relazioni e interessi ci siano dietro queste operazioni. E’ pazzesco poi che parallelamente la giunta D’Alfonso voglia a spese delc contribuente realizzare vasche su terreni agricoli spendendo 55 milioni di euro. Delle semplici considerazioni di buon senso dovrebbero indurre il comitato VIA a un parere negativo visto che l’area metropolitana Chieti-Pescara è piena di aree dismesse da riqualificare dove poter insediare strutture commerciali, di ristorazione o del tempo libero”.
“Invito anche le organizzazioni di categoria a mobilitarsi – dice Acerbo – perchè è inaccettabile che si costruisca sul fiume per contribuire alla desertificazione dei nostri centri commerciali naturali. Non c’è una sola ragione di interesse pubblico che giustifichi questa porcata e ce ne sono mille di natura ambientale e sociale che dovrebbero indurre la Regione Abruzzo a dire no”.