Francavilla al Mare. A Francavilla al Mare è stato illustrato il ricorso collettivo che il Codacons Abruzzo ha intenzione di promuovere dopo le quattro sentenze con cui il Giudice di Pace di Chieti, Maria Flora Di Giovanni, ha condannato l’Aca Spa a risarcire quattro utenti con 5.000 euro ciascuno per danno da timor panico, per le note vicende dell’inquinamento dei pozzi Sant’Angelo di Bussi.
Le sentenze, infatti, dopo quella della Corte di Cassazione sul caso Icmesa e del Tar Lazio sull’avvelenamento delle acque in alcuni comuni laziali, costituiscono il terzo precedente in materia e consentono di ricorrere a tutti coloro che hanno assunto acqua dell’acquedotto Fonte Giardino e che possono provare di aver sofferto il cosiddetto danno da “timor panico” (diverse centinaia di migliaia di persone).
Gli avvocati Ludovico e Rodolfo Berti del foro di Ancona, esperti in risarcimento danni e autori di numerose pubblicazioni, hanno patrocinato le quattro cause unitamente all’avvocato Vittorio Ruggieri del foro di Chieti.
“Noi abbiamo pensato che la vicenda di Bussi in qualche modo lievitasse – ha detto Vittorio Ruggieri – è una vicenda scandalosa, vergognosa e che merita una risposta da parte del territorio e abbiamo cercato di mettere insieme un’azione che dimostrasse che poi i cittadini abruzzesi non hanno l’anelo sul naso, ma che hanno a cuore le vicende ambientali del proprio territorio. Quindi noi ci aspettiamo che tutti quelli che hanno bevuto l’acqua inquinata di Fonte Giardino e che hanno paura di poter contrarre una malattia, in qualche modo aderissero a questa azione”.
“Abbiamo recentemente ottenuto quattro sentenze molto importanti da parte del Giudice di Pace di Chieti – ha aggiunto Ludovico Berti – che ha condannato l’Aca, la società che gestisce l’acquedotto, a risarcire cinque componenti di una famiglia che hanno utilizzato questa acqua inquinata per anni, dal 2004 circa al 2007, ad ottenere un risarcimento per il timor panico, quindi un risarcimento non dovuto ad una malattia o ad una patologia che è stata contratta in conseguenza di queste sostanze nocive, ma semplicemente un indennizzo che vada a risarcire la paura che queste persone hanno di contrarre in futuro una malattia. Questa è una sentenza molto importante perché costituisce il terzo precedente in Italia perché alla situazione di Icmesa si è aggiunta un’altra che era stata decisa del Tar del Lazio, è la terza decisione in Italia che impone un risarcimento proprio per il timor panico, la paura di essere affetto in futuro di patologie anche gravi. L’acqua, che veniva somministrata a circa 700 mila persone, era costituita da degli agenti chimici assolutamente velenosi e quindi oltre a questo timor panico è stato riscontrato che a livello epidemiologico ci sono state delle malattie tumorali nella zona. Quindi stiamo accertando se alcune di queste patologie possono essere dovute a questa situazione che queste persone abbiano ricevuto negli anni attraverso l’acquedotto. Vogliamo proseguire questo percorso per ottenere il risarcimento dei danni”.
“Sono quattro cause completamente identiche – ha sottolineato Rodolfo Berti – perché sono mosse da quattro componenti della stessa famiglia che per lunghi anni ha utilizzato l’acqua somministrata dall’acquedotto senza sapere che utilizzava acqua altamente inquinata, quindi acqua estremamente pericolosa per la salute, così come ha stabilito l’Istituto Superiore di Sanità che ha effettuato un’indagine che ha stabilito che l’acqua fosse altamente inquinata. La conseguenza è statala chiusura nel 2007 dei pozzi Sant’Angelo. L’Aca sapeva sin dal 2004 di quello che avveniva e non ha fatto assolutamente niente: non ha avvertito la popolazione, non ha chiuso i pozzi, anzi avrebbe anche mentito circa la sussistenza del pericolo. Poi ci sono stati tutti coloro che hanno bevuto l’acqua gestita dall’Aca dai pozzi Sant’Angelo che sono stati esposti ad un rischio che non si è ancora manifestato e che si potrebbe manifestare in futuro. La manifestazione di questi danni spesso è molto lunga, si parla di anni, però da un’indagine fatta noi sappiamo che c’è stato un riscontro di tumori proprio nelle zone in cui è stata somministrata l’acqua, da qui la paura di queste persone. Quindi, tenuto conto che c’è anche la responsabilità dell’Aca, acclarata con un percorso penale che si è concluso a maggio, il danno che queste persone hanno avuto non è patrimoniale, ma è dato dalla paura: ogni piccola manifestazione che ognuno avverte, costituisce un campanello d’allarme. La preoccupazione condiziona il modo di vivere, quindi limita la possibilità delle persone di vivere come prima, quindi questo è un danno che va risarcito. Ci sono solo due precedenti in Italia noti: Icmesa nel 2009 ed una sentenza del 2014 del Tar Lazio per un caso assolutamente analogo a questo”.
Francesco Rapino