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Pescara, Armatori pronti ad abbandonare il porto morente

 

Barche ormai pronte a scegliere il porto di Ortona per ragioni di sicurezza. Ne dà notizia l’armatore ed ex assessore comunale Riccardo Padovano, che interviene nel dibattito attorno ai lavori di dragaggio del porto canale di Pescara.

“La solidarietà è sempre ben accetta, ma qui c’è bisogno di ottenere subito risultati. Come armatore”, annuncia Padovano, “sono pronto a spostare l’imbarcazione di famiglia al porto di Ortona, per evitare altri danni e per salvaguardare la sicurezza di chi lavora. Lo farei con dolore, ma qui parliamo di aziende che devono far quadrare i conti, e sono certo che anche altri settori – a partire dai trasporti degli idrocarburi – vivono la nostra stessa condizione».

Padovano sottolinea che “il prelievo di sabbia di cui si continua a parlare, appena 2 mila metri cubi, è assolutamente e drammaticamente insufficiente ai bisogni del porto di Pescara, a fronte di un costo decisamente inopportuno ed esorbitante come i 500 mila euro annunciati. Il porto di Pescara ha bisogno di un escavo di almeno 150 mila metri cubi”, dice Padovano, “perché è impossibile navigare con un fondale che nel molo di levante oscilla fra i meno 4 metri e i meno 50 centimetri, e che nelle banchine di attracco dei pescherecci oscilla fra due metri e un metro. Nel 1997, anno di avvio dei lavori della diga foranea, a ridosso dei trabocchi c’era un fondale di 8 metri, oggi c’è solo sabbia: questo è il simbolo dell’emergenza”.

Da qui la richiesta di Padovano: “C’è bisogno di tavolo interregionale fra Abruzzo, Marche e Molise per mettere in rete tutte le energie. Dai lavori del porto di Pescara, partendo dall’area prospiciente la diga foranea, si possono ricavare anche 2 milioni di metri cubi di sabbia, che possono essere messi a disposizione di tutte le opere di ripascimento del Medio Adriatico evitando di andare a 60-70 miglia al largo del tratto di mare fra Giulianova e Porto San Giorgio come invece si sta pensando”.

Critiche anche sulle modalità di analisi dei limi da dragare: “Le normative ambientali sono cambiate, certo, ma è impensabile che questa modifica stravolga la vita del porto e soprattutto metta a rischio la vita delle persone”, commenta Padovano, “se la parte superficiale del fondo può non essere in linea con le nuove normative, la parte più profonda è da analizzare. Ma c’è bisogno di un coordinamento serio, di uno studio reale, di un’analisi dei costi che impedisca ai cittadini di essere rapinati. Ancor prima della sacrosanta necessità di salvare le aziende, i posti di lavoro, l’indotto e la prospettiva di vita del porto di Pescara c’è l’urgenza di tutelare la vita umana che non può essere messa in secondo piano rispetto alle norme burocratiche”.

Infine, suggerisce Padovano, “facciamo due conti: per prelevare 2 mila metri cubi i pescaresi dovranno pagare 500 mila euro. Il fabbisogno annuale del porto di Pescara è un escavo di circa 150 mila metri cubi: a questi prezzi, bisognerà che qualcuno metta in bilancio oltre 37 milioni di euro l’anno per il porto. Stiamo parlando di una vera e propria rapina ai danni dei pescaresi. E’ arrivato il momento che si decida il futuro del Porto di Pescara, partendo dal Piano regolatore: parlamentari, consiglieri regionali e amministratori si siedano attorno ad un tavolo, diano risposte alla città ed a chi lavora nel porto. Questo lassismo e questo pressapochismo stanno facendo solo del male”.

Daniele Galli

 

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