Pescara. Gagliardi colpevole al di là di ogni dubbio: è la conclusione, scritta nella sentenza di condanna, del Giudice per l’udienza preliminare nel processo per l’omicidio di Carlo Pavone, ingegnere informatico colpito alla testa da un colpo di fucile sotto casa sua a Montesilvano la sera del 30 ottobre 2013, morto a novembre scorso dopo un anno di coma.
“Tutti gli elementi indiziari risultano gravi, precisi e concordanti e concorrono unitariamente a formare un quadro probatorio grave a carico di Vincenzo Gagliardi consentendo di ritenerlo, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, autore dell’omicidio di Carlo Pavone”. E’ uno dei passaggi della motivazione della sentenza di condanna emessa dal gup Maria Carla Sacco, a carico di Vincenzo Gagliardi, impiegato delle Poste a Pescara e originario di contrada San Martino di Chieti, per l’omicidio Pavone.
L’ingengere era sceso in viale de Gasperi per gettare i rifiuti e non e’ mai piu’ risalito nella sua casa, dove viveva con i due figli e la moglie, Raffaella D’Este, che all’epoca aveva una relazione sentimentale con Gagliardi, suo ex collega. Il dipendente delle Poste e’ stato giudicato con il rito abbreviato e condannato il 16 luglio scorso a 30 anni, come chiesto dal pm Anna Rita Mantini. L’uomo, difeso dall’avvocato Renzo Colantonio, dovra’ anche risarcire le parti civili: 150 mila euro complessivi per i due fratelli di Pavone, Adele e Rocco, e per la madre Concettina Toro, assistiti dagli avvocati Massimo Galasso e Marino Di Felice, e centomila euro per ciascuno dei due figli della vittima, rappresentati dall’avvocato Ettore Paolo Di Zio.
Nello specifico, secondo il giudice “risulta dimostrato il movente di natura passionale: l’azione omicidiaria di Gagliardi – scrive nelle motivazioni – si colloca all’interno della relazione extraconiugale con la D’Este e la travagliata opera di contrasto posta in essere dalla vittima. L’imputato – sottolinea il gup – aveva piu’ volte visionato anche il profilo facebook di Pavone per attingere informazioni personali sul conto del marito della sua amante, del quale evidentemente controllava in modo virtuale le abitudini dei figli; Gagliardi con la sua azione voleva eliminare un ‘fastidioso impedimento’ alla prosecuzione della relazione con la donna, alla quale aveva sempre manifestato appoggio e sostegno anche all’esito della violenta lite avvenuta il 20 ottobre 2013 tra Raffaella D’Este e il marito”. Secondo il gup, inoltre, “risulta parimenti dimostrato con ragionevole certezza che l’omicidio di Pavone puo’ collocarsi tra le 19.40 e le 20.10 del 30 ottobre 2013 e che in dato lasso temporale Gagliardi era privo di alibi”.
Relativamente all’aggravante della premeditazione, il giudice evidenzia che “Gagliardi ha posto in essere una serie di condotte preventive e successive all’omicidio allo scopo di precostituirsi un alibi ed ostacolare le investigazioni”. Il giudice cita, ad esempio, le ricerche effettuate sul computer sequestrato all’impiegato delle poste e, in particolare, la ricerca effettuata il 9 settembre del 2013 che “nella stringa di selezione attuata dal compilatore (ovvero Vincenzo Gagliardi) evidenziava l’univoca semantica: “a che distanza puo’ essere fatale un colpo sparato da un flobert calibro 9”. Il giudice osserva anche che “l’imputato ha saputo coltivare nel tempo la premeditazione di un progetto omicidiario, mostrando abilita’ non comune nel reperire armi idonee ad uccidere ed eseguire in tempi rapidi azione omicidiaria, sfruttando situazioni contingenti atte a sorprendere la vittima, mostrando grande determinazione e freddezza d’animo e nello stesso tempo adoperando tutte le cautele per precostituirsi, sin dall’inizio una tesi difensiva”.
Per il Gup poi “nessun dubbio puo’ emergere sulle risultante tecniche dei carabinieri del Ris” circa il fatto che “le particelle rinvenute sugli indumenti appartenenti a Gagliardi erano univocamente riconducibili a un evento-sparo”. Il giudice, inoltre, sostiene che l’impiegato delle Poste, “seppur incensurato, non appare meritevole del riconoscimento di circostanze generiche; il movente di natura passionale, ma non connotato da dolo d’impeto, costituisce ulteriore sintomo della personalita’ negativa di Gagliardi, determinatosi all’azione per interrompere l’opera di contrasto alla sua prosecuzione della relazione con Raffaella D’Este posta in essere dalla vittima, intensificatasi nell’ultimo periodo; e vieppiu’ deve essere valutata, conseguentemente in punto di mancato riconoscimento della concessione di circostanze attenuanti generiche, la condotta successiva al reato tenuta dall’imputato: Gagliardi ha proseguito la relazione con D’Este, programmando una futura vita in comune e palesando la speranza che Carlo Pavone, ormai irrimediabilmente in coma presso un istituto per malati gravissimi lungodegenti, possa cessare di vivere: comportamento che mostra assoluto disprezzo da parte di Gagliardi verso le regole della convivenza civile”.